Facebook è arrivato a 18 milioni di utenti in Italia. Più di un italiano su quattro ha un profilo sul più popolare social media del mondo (600 milioni di iscritti in tutto).
Dall’infografica, realizzata da Michele Caivano del sito www.fortunecat.it, è possibile evincere due dati significativi:
– la fascia più rappresentata è quella di età compresa tra i 35 e i 54 anni: cade così, spero definitivamente, il mito che vorrebbe Facebook come uno strumento “per ragazzini”;
– Gli uomini sono più presenti delle donne: 54% di maschi, 46% di femmine. Negli Stati Uniti, nettamente primi per numero di iscritti, sono invece le donne a dominare: 56% a 44%. I dati delle altre 15 nazioni con il maggior numero di iscritti a Facebook sono disponibili sul sito che vi ho segnalato, con altrettante infografiche.
L’Italia è il nono paese al mondo come numero di iscritti. Qui la distribuzione mondiale dei top 15.
Dopo gli USA, a sorpresa, c’è l’Indonesia, poi il Regno Unito e la Turchia, quarta ma con lo spaventoso tasso di penetrazione di FB del 99%. Manca la Cina che si iscrive a a RenRen, un suo social media “interno” da 400 milioni di iscritti.
Tutti questi dati dimostrano che la presunta Facebook-mania del nostro Paese è in realtà molto più normale di come la si racconti. In questa tabella, ad esempio, è possibile confrontare il tasso di penetrazione di FB nei vari paesi del mondo.
Siamo consumatori di Facebook allo stesso modo in cui lo sono gli americani, gli inglesi e gli australiani. Lo siamo un po’ più dei francesi, un po’ meno degli islandesi; molto più dei tedeschi, molto meno degli indonesiani. Dunque, almeno da una prima sommaria analisi di questi dati, salta anche l’ipotesi secondo cui Facebook sia così diffuso in Italia per motivi “culturali”, per una presunta e maggiore vocazione relazionale del nostro popolo mediterraneo.
Facebook in Italia non va poi così forte, se analizzato in valore assoluto. È invece straordinariamente “pesante” se lo si paragona al suo principale avversario nel resto del mondo: Twitter. Se infatti la relazione tra iscritti al social media di Zuckerberg e quello dei cinguettii è di tre a uno, in Italia parliamo di un rapporto di 16 a 1.
Gli utenti Twitter, infatti, sono solo 1,3 milioni in Italia e di questi, solo 351 mila lo usano regolarmente (il 27%). L’Italia è assente dalla lista delle nazioni più presenti su Twitter. Nella prossima tabella scoprirete come gli Stati Uniti raccolgano, da soli, il 62% dell’utenza complessiva; non è un caso che lo staff di Barack Obama, nell’annunciare la ricandidatura del Presidente, abbia sottolineato l’importanza di Twitter nella strategia per la campagna elettorale del 2012.
La domanda, dunque, non dovrebbe tanto riguardare la popolarità di Facebook in Italia, che è nella media mondiale, quanto lo scarso appeal di Twitter in un paese, come il nostro, che usa con convinzione i nuovi media.
Alla luce di tutti questi dati, azzardo un’interpretazione: Facebook regge e Twitter no perché nel primo caso possiamo comunicare in italiano ed è verosimile che la matrice linguistica sia uno strumento di autosegmentazione sociale nella scelta degli amici e delle relazioni da approfondire. Twitter, invece, è uno strumento globale, che non vive di conoscenza diretta tra utenti ma di relazioni tra ‘leader’ e ‘follower’, di persone che producono contenuti e altri che seguono chi produce contenuti senza chiedere il “permesso”. Per questo motivo non esistono barriere sociali, culturali e linguistiche.
Twitter è uno strumento più globale di Facebook, dunque l’inglese è la sua lingua ufficiale, dunque gli italiani, fatalmente, si tengono alla larga.
Visti i dati di penetrazione di Twitter nel nostro Paese, non sorprende che Evan Williams non abbia investito in infrastrutture che favoriscano l’esperienza di utilizzo agli utenti italiani, soprattutto con un servizio SMS capillare ed efficiente come in altri Paesi, dove è oramai consetudine l’aggiornamento del profilo attraverso un messaggio di testo (è grazie a questa opportunità che i giovani iraniani, egiziani e libici hanno aggirato la censura imposta dai regimi dei loro Stati).
Ma il potenziale dello strumento è enorme, soprattutto in chiave informativa e giornalistica (forse anche più dello stesso Facebook): da neofita entusiasta di Twitter spero che il dominio di Facebook in Italia conosca una flessione almeno in termini relativi.