Di studenti, università e riforme si parla molto spesso solo in presenza di grandi manifestazioni di piazza e forti mobilitazioni. I movimenti, anche i più grandi, attraversano però fasi alterne, esplosioni talvolta improvvise, come nello scorso autunno, poi sembra che nel volgere di poche settimane tutto scompaia, degli studenti che riempivano le piazze e bloccavano il Paese non c’è più traccia. Chi vive quotidianamente l’università sa che la realtà è ben diversa. Il movimento dell’Onda nel 2008 e il movimento di quest’autunno sono stati possibili anche grazie al radicamento nelle facoltà di forme autorganizzate di studenti e ricercatori che anche nei cosiddetti momenti di “riflusso” quotidianamente cercano di costruire un’università diversa da quella imposta dalle riforme del governo.
A Bologna così come i molti atenei italiani uno dei temi centrali delle mobilitazioni e della costruzione di una nuova università è nella critica ai meccanismi di trasmissione del sapere. Non solo la messa in crisi del tradizionale sistema di lezioni frontali, che raramente prevedono la partecipazione attiva dello studente, ma anche la messa in discussione di un sistema rigido di divisione delle discipline, che vede l’Italia in forte ritardo rispetto a molti paesi occidentali.
Gli studenti allora si organizzano attorno a quella che ormai da quasi un decennio hanno chiamato autoformazione: una pratica che si fonda sul confronto e la collaborazione tra le diverse figure appartenenti al mondo universitario: studenti, dottorandi, ricercatori e docenti. Veri e propri laboratori all’interno dei quali prendono vita seminari autogestiti che mirano a costruire un’idea di sapere innovativa, spesso molto più simile a quanto accade nelle università europee.
A Bologna a partire dal 2005 in molte facoltà sono nati laboratori di autoformazione, da Scienze Politiche a Lettere, da Storia a Giurisprudenza. A questi seminari hanno partecipato centinaia di studenti, docenti di molti atenei italiani ed europei, scrittori e intellettuali, dai Wu Ming a Antonio Moresco, da Vittorio Gallese a Paolo Virno. Da alcune di queste esperienze sono nati veri e propri libri, come per il seminario sui “Global Studies” svoltosi a Storia nel 2008 che uscirà a breve in volume per l’editore Ombre Corte.
“In un momento di crisi come questo”, ci dicono gli studenti del laboratorio di autoformazione della facoltà di lettere, “la messa a valore dei percorsi nati dalla collaborazione di studenti e ricercatori diventa una battaglia centrale”.
Per questo gli studenti del laboratorio hanno chiesto alla commissione che sta riscrivendo lo statuto dell’Ateneo di inserire nelle sue linee guida il riconoscimento istituzionale dei percorsi di autoformazione, chiedendo non solo che continuino a ricevere crediti formativi, ma anche spazi a adeguati e finanziamenti.
“L’università di qualità non si costruisce con i tagli” ci dice Giulia Raineri del laboratorio, “ma rimettendo al centro le forme di cooperazione sociale, rompendo gli steccati disciplinari e consentendo a tutti di contribuire alla costruzione del proprio percorso formativo”.
“Nei nostri dipartimenti” prosegue Marianna Sica, “l’organizzazione dei corsi risente spesso di vecchie spartizioni, di lotte intestine, tutto a discapito della didattica e della ricerca. A partire dai nostri laboratori, insieme a ricercatori e precari, vogliamo costruire percorsi di ricerca indipendente”.
Quest’anno il laboratorio di lettere si occuperà di letteratura post-coloniale italiana. “I rapporti tra storia e letteratura in questi anni sono sempre più complessi” ci spiega Simone Addessi “è evidente che ci sono storie che la “Storia” come disciplina non è in grado di raccontare. É qui che la letteratura offre delle possibilità tutte da indagare”.
Antonio Celavi