“Una tragedia che non si può imputare al fato”. A parlare così è Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci che punta il dito contro le politiche sull’immigrazione italiane ed europee. Miraglia sostiene che quanto accaduto nel Canale di Sicilia sia “direttamente legato all’impossibilità di ingresso in Italia e in Europa per i profughi attraverso vie legali”. Insomma la morte di quelle duecentocinquanta persone, naufragate mentre cercavano di raggiungere Lampedusa, devono pesare sulla coscienza di Roma e di Bruxelles, colpevoli “di criminalizzare gli immigrati”. In particolare  l’Italia. Secondo l’Arci, “non si può pensare di affrontare un’emergenza umanitaria preoccupandosi solo di non scontentare il proprio elettorato mentre i diritti delle persone vengono ogni giorno calpestati e l’incolumità di migranti e profughi messa in pericolo”.

Questa tragedia del mare non solo di poteva evitare, ma rappresenta solo l’ultimo caso che dimostra come sia necessario cambiare politica sull’immigrazione. “La sola chiusura delle frontiere – sottolinea l’Arci – non serve a bloccare i flussi, al contrario costringe i migranti a viaggi disperati e pericolosi”.

Come hanno riferito le cronache, il barcone di migranti che si è rovesciato in mare è partito dalla Libia e trasportava a bordo tutti cittadini dei paesi dell’Africa subsahariana. Un segnale da non sottovalutare. Significa che il “tappo” libico è definitivamente saltato e che gli accordi sottoscritti fra Italia e il paese nordafricano nel 2008 sui respingimenti in alto mare sono solo un ricordo.

Il dipartimento immigrazione dell’Arci lo sa bene ed è per questo che chiede all’Europa di accogliere non solo i duemila profughi che premono al confine libico-tunisino, ma anche i cinquemila che si trovano ancora in Libia: “migliaia di persone, già in fuga da paesi in guerra e poi bloccate nei campi profughi libici per colpa degli accordi tra il Governo italiano e Gheddafi. Una situazione che pesa sulla coscienza del nostro governo e che ha bisogno di un intervento urgente”.

La parola d’ordine deve essere  quella di evitare altre inutili morti e su come farlo l’associazione non ha dubbi: “Aprire un corridoio umanitario che garantisca a richiedenti asilo e profughi la possibilità di entrare in Europa in sicurezza, evitando altre inutili morti”. Un’opinione condivisa anche da Antonio Russo, responsabile immigrazione delle Acli, che aggiunge come sia indispensabile “organizzare nelle acque del Mediterraneo un presidio navale a scopi umanitari ed aprire una zona di protezione e di garanzia del diritto internazionale”.

Anche l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati e i richiedenti asilo è d’accordo. “Sarebbe la cosa migliore da fare: riuscire a fare in modo che queste persone possano essere trasferite altrove – dice Laura Boldrini, portavoce dell’Unhcr – senza dover rischiare la vita in mare. Per fare questo, però, ci deve essere la disponibilità di altri Stati di offrire a queste persone che si trovano intrappolate in Libia, la possibilità di mettersi in salvo legalmente”.

Per il momento Bruxelles e i paesi membri, aldilà del cordoglio e delle dichiarazioni del caso, continuano a far finta che il problema non esista. Come dice Russo, ci sono “volenterosì a bombardare che non a farsi carico del destino dei profughi”.

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