NEW YORK – Non ha fatto notizia come la Libia, ma il conflitto in Costa d’Avorio potrebbe avere conseguenze più devastanti che rischiano di essere trascurate dall’opinione pubblica mondiale. Da giorni il contestato leader del Paese africano, Laurent Gbagbo, un tempo alleato di Francia e Occidente, si è asserragliato nel suo palazzo, nella città di Abidjan, rifiutandosi di lasciare il potere.
Anche se Onu e Unione africana hanno riconosciuto il suo avversario, Alassane Outtara, come legittimo vincitore delle elezioni dell’anno scorso, Gbagbo è rimasto dov’è. Non solo: ha cominciato ad usare il pugno di ferro contro chi protestava, senza compromessi. Proprio come il leader libico Muammar Gheddafi.
I ribelli di Outtara, non meno sanguinari del presidente che si aggrappa al potere, hanno preso il controllo di quasi tutto il Paese con un blitz breve ed efficace, grazie all’appoggio della Francia, ex potenza coloniale in Costa d’Avorio. Ma non sono riusciti ad espugnare il bunker di Gbagbo, che ha iniziato una serie di trattative per negoziare la resa. Secondo alcuni, il suo obiettivo è guadagnare tempo, e continuare a combattere. La sua fine? Forse morire tragicamente, forse ribaltare la situazione.
Outtara, considerato da alcuni come la speranza per il futuro della Costa d’Avorio, potrebbe in realtà essersi macchiato di crimini di guerra, esattamente come il suo avversario. Le organizzazioni non governative accusano le forze di Outtara di aver messo in atto, in maniera metodica, un sanguinoso massacro nella cittadina di Duekoué, dove sarebbero state uccise centinaia di persone (ci sono stime che conteggiano dalle 330 a 800 vittime).
Il Palazzo di Vetro ha detto di “prendere molto sul serio” le preoccupazioni delle ong. Ivan Simonevic, responsabile dei diritti umani per le Nazioni Unite, e Valerie Amos, a capo del coordinamento degli affari umanitari dell’Onu, si sono recati nella cittadina nel centro-ovest della Costa d’Avorio. “La loro presenza indica che l’Onu sta prendendo molto sul serio la questione”, ha sottolineato il portavoce del Palazzo di Vetro, Martin Nesirky.
Il segretario generale Ban Ki-moon, ha proseguito il portavoce, “ha detto chiaro e forte a Ouattara che i diritti umani vanno rispettati”. Il Comitato internazionale della Croce rossa (Cicr) sostiene che tra il 27 e il 29 marzo, a Duekoué, sono state uccise almeno 800 persone, principalmente di etnia Gueré. L’Onu, nei giorni scorsi, aveva stimato 330 vittime. Nesirky ha successivamente parlato di “diverse centinaia” di assassinati.
Dove sta la verità? E Outtara sarà davvero meglio di Gbagbo? Difficile rispondere. La Costa d’Avorio è lontana agli occhi di molti. Non è sull’altra sponda del Mediterraneo, come la Libia. E se fare i giornalisti tra i despoti di Tripoli e i ribelli di Bengasi può essere difficile, raccontare le tragedie nell’Africa dell’Ovest può diventare impossibile. I resoconti arrivano dal vicino Ghana, o magari dai corrispondenti a Parigi, che ovviamente basano i loro articoli su fonti francesi, talvolta sbilanciate.
A New York, il Palazzo di Vetro tiene un basso profilo, dice e non dice sulle trattative per far uscire Gbagbo di scena. Con molti equilibrismi, l’Onu afferma che i Caschi Blu “non fanno parte del conflitto ivoriano”. Conflitto che, se non si chiuderà nelle prossime ore, diventerà sempre più logorante e dolorso, e i militari del Palazzo di Vetro rischieranno di diventare semplici testimoni delle violenze, se non addirittura vittime, assieme a centinaia di civili.