“Il percorso se lo sono tracciati da soli. Mentre scavavano la croce di Antonio Giorgi, hanno scavato anche la loro». Questa frase era dell’ex sostituto procuratore Francesco Mollace che assieme al collega della Direzione distrettuale antimafia Antonio De Bernardo aveva rappresentato l’accusa nel processo “Bellezza” che ha fatto luce sull’omicidio di Antonio Giorgi, il giovane di San Luca ucciso il 31 ottobre 2005 sulla statale 106 all’altezza di Africo.
A scavare quella fossa erano in tanti. Tra questi anche il “fagiolo”, all’anagrafe Santoro Favasuli, arrestato ieri notte ad Africo dalla squadra Mobile di Reggio e dal commissariato di Siderno dopo alcuni anni di latitanza. Secondo la più antica logica ‘ndranghetista, il “fagiolo” si nascondeva a casa sua. Dietro il mobile della cucina, aveva realizzato un bunker dal quale, attraverso un monitor poteva osservare qualsiasi movimento avvenisse all’esterno della sua abitazione dove gli uomini di Renato Cortese hanno rinvenuto due microcamere.
Santoro Favasuli fuggiva da una condanna a 30 anni di carcere. Aveva fatto parte del commando di fuoco che ha trucidato Antonio Giorgi, in risposta all’uccisione di Salvatore Favasuli. Nel gennaio dello stesso anno, infatti, quest’ultimo aveva pagato con la vita una relazione sentimentale clandestina intrattenuta con la fidanzata di Domenico Giorgi (fratello di Antonio), mentre questo era detenuto.
Le indagini, confermate dalle sentenze, avevano aperto uno squarcio su una realtà mafiosa (quella della Locride) legata alle logiche del potere e dell’onore. Logiche che portano, inevitabilmente, allo scontro tra famiglie ‘ndranghetiste disposte anche alla faida pur di imporsi sulle altre consorterie. Proprio da una questione di onore ha avuto origine l’omicidio di Antonio Giorgi. Nel gennaio 2005, infatti, uccidendo Salvatore Favasuli la famiglia di San Luca avrebbe lavato con il sangue lo smacco ricevuto dagli “africoti”.
Stando all’accusa, la vendetta sarebbe stata progettata dal padre della vittima, Pasquale Favasuli (detto “Jashin”) e da Pietro Morabito (detto “Pierino Robascecchi”), Pasquale Casile (detto “mbrì mbrì”), Leo Favasuli (alias “trippa”), Antonio Favasuli (alias “pompa”) e appunto l’ex latitante Santoro Favasuli (detto “fagiolo”). Tutti sono stati condannati a 30 anni di carcere con il rito abbreviato per l’omicidio Giorgi la cui «ferocia nella modalità di esecuzione – aveva scritto il gup Daniele Cappuccio – vi imprimono il drammatico marchio della ‘ndrangheta».
Ma il delitto Giorgi è direttamente collegato alla ripresa della faida di San Luca. Ripercorrendo le varie fasi del processo, infatti, non è escluso che, secondo l’accusa, nell’omicidio «possa essere stato in qualche modo coinvolto anche Francesco Pelle, detto “Ciccio Pakistan”, – avevano sostenuto i pm durante la requisitoria – il quale potrebbe avere supportato i propositi criminosi dei Favasuli, magari procurando le informazioni relative agli spostamenti del Giorgi».
“È un grande risultato – ha affermato il capo della mobile Renato Cortese durante la conferenza stampa tenuta in questura – e, in particolare, il fatto che la cattura sia avvenuta in paese e che il latitante sia stato preso all’interno del bunker in casa propria, riafferma il controllo del territorio da parte delle istituzioni dello Stato”. Un controllo del territorio che – ha ricordato il questore Carmelo Casabona – ha consentito negli ultimi due anni a girare le manette ai polsi a oltre 30 latitanti” ma che a volte, in realtà chiuse come quella di Africo provoca la reazione contraria della popolazione. Dopo la cattura di Santoro Favasuli, infatti, una piccola folla di abitanti si è radunata di fronte all’abitazione del latitante, generando – ha concluso il capo del commissariato di Siderno Stefano Dodaro – “Qualche attimo di tensione”.