Sì alla commissione consiliare antimafia e al codice di autoregolamentazione per la raccolta delle informazioni sulle infiltrazioni mafiose a Bologna. Virginio Merola, candidato sindaco del Partito Democratico alle comunali del 15 e 16 maggio prossimi, non ha esitazioni di fronte alla richiesta presentata qualche giorno fa da Elio Veltri, coordinatore nazionale di “Democrazia e Legalità”, e dal candidato indipendente nelle liste del Pd Marco Guerra.
“Non lo dico da oggi”, prosegue Merola. “Occorre alzare il livello di guardia contro la mafia, che c’è anche qui a Bologna e che è una mafia in doppiopetto. Chi lo nega dice il falso e ne dobbiamo prendere consapevolezza tutti. Dunque ribadisco che strumenti come la commissione e il codice servono perché l’informazione deve essere quanto più condivisa possibile. Occorre inoltre puntare anche sulla formazione, insieme all’università, dei dirigenti pubblici e degli operatori economici perché imparino a riconoscere e a difendersi dagli approcci della criminalità organizzata”.
Sarebbe un caso unico in Italia. Se con la nuova giunta si dovesse insediare la commissione consiliare antimafia a Bologna, sarebbe una novità assoluta. O quasi. Perché, a livello nazionale, è stato fatto un solo esperimento del genere. È accaduto a Milano con la giunta del sindaco Letizia Moratti per vigilare sull’Expo 2015. Ma la delibera è stata poi ritirata perché, a detta dell’amministrazione, ci si sovrapponeva con la magistratura. “L’errore sta qui”, afferma Veltri, “pensare che l’attenzione contro le mafie debba essere solo una questione repressiva, quando il reato si è già consumato. Occorre invece agire prima, informarsi e informare, e poi collaborare con gli organi inquirenti”.
E se Bologna è in lizza per le Universiadi del 2019, il discorso è quello di prendersi in anticipo perché i tentacoli del crimine organizzato si sono già allungati sul capoluogo emiliano. L’operazione Golden Jail di ieri contro prestanome autoctoni della ‘ndrangheta lo dimostra. E lo dimostrano anche precedenti attività investigative condotte dalla Direzione distrettuale antimafia di Bologna. Ancora qualche giorno fa, la squadra mobile del capoluogo emiliano ha annunciato di aver smantellato un giro di narcotraffico e di denaro falso che vedeva tra i propri capi esponenti di realtà straniere. Ma – elemento sottolineato – nel proprio “organico” c’era un referente locale della cosca ‘ndranghetista Farao Marincola di Cirò (Crotone).
Una conferma, dunque, della presenza e dell’operatività mafiosa sul territorio. Fabio Bernardi, dirigente della squadra mobile di Bologna, è da quando è arrivato a Bologna, nel 2008, che lavora per individuare e – laddove possibile – intervenire in anticipo per evitare l’approfondirsi del radicamento criminale in provincia. Da quando, reduce dall’esperienza milanese, ha applicato prima molto lavoro di analisi documentale e poi di attività sul campo.
A Bologna la ‘ndrangheta c’è da dieci anni. E così, nel giro di poco tempo, è emerso che Bologna ha perso la sua “verginità” almeno dieci anni fa. In ritardo rispetto ad altre zone della province emiliane, come Reggio Emilia e Modena, dove la camorra dei casalesi e di varie ‘ndrine operavano già prima (si deve risalire ai primi anni Novanta), per lo più gestendo tra conterranei affari e relativi reati.
Bologna, però, conserva ancora alcuni vantaggi. Come il fatto che non ci siano “locali” vere e proprie sul territorio, come accade invece in Lombardia. Ma presenze di livello sono invece segnale che l’interesse per il capoluogo emiliano è elevato. Alcuni fatto lo testimoniano. Per esempio, nel 2008, Carmelo Bellocco, detenuto nel carcere della Dozza, una volta scarcerato non se n’è tornato nella natìa Rosarno. Perché? In affidamento ai servizi sociali, era poi andato a lavorare al mercato ortofrutticolo di Bologna, assunto da un altro calabrese. Era il titolare della ditta Veneta Frutta e il suo patron era sospettato di essere un uomo di Bellocco, che intanto aveva “eletto” a propria residenza il comune di Granarolo Emilia.
Agli investigatori questa situazione non tornava e così vai di intercettazioni ambientali e servizi di osservazione che avevano consentito di conoscere in anticipo un fatto: era prossima una faida tra Bellocco e un clan rivale. Nel luglio 2009, raccolti sufficienti elementi, si era dunque potuto procedere all’arresto sia dell’uomo che di altre persone a lui vicine, tra cui la moglie.
La storia della ‘ndrangheta a Bologna passa poi per il referente del clan Mancuso, Vincenzo Barbieri, ammazzato poche settimane fa, il 12 febbraio scorso, dopo essere stato scarcerato e colui che sarebbe finito nell’operazione Golden Jail insieme agli altri indagati, se non fosse morto prima. Proprietario di un attico in via Saffi, aveva scontato i domiciliari nel centralissimo (ed esclusivo) Hotel Baglioni. Un’informazione che viaggiava sulla bocca di molti, in città, ma che inizialmente era stata sottovalutata, per quanto fosse plateale una detenzione ai domiciliari del genere.
Incensurati, bar e immobili: è la formula in rodaggio. Se dalle informazioni a disposizione degli investigatori la propaggine emiliana della ‘ndrangheta non avrebbe ancora contagiato il livello politico, come invece in altre regioni settentrionali, quello economico invece è ormai collaterale. Anzi, spesso complice. Da un lato abbiamo esercizi commerciali e bar che passano di mano in mano, forti di una liquidità che Bernardi definisce “impressionante”.
La tecnica è un po’ quella riscontrata con l’insediamento di attività economiche cinesi: non si discute sul prezzo, non si chiede uno sconto a nessuno e il pagamento avviene in contanti. Cash e subito, dunque. In tempi di crisi economica, il denaro puzza meno del solito e molti piccoli commercianti sono contenti di levarsi di dosso esposizioni bancarie e affari in continua contrazione. In questo caso magistrati e forze dell’ordine devono intervenire il prima possibile altrimenti il rischio è che il bene “si perda”, passando in mani pulite.
Dall’altro, invece, c’è chi le realtà criminali del sud non le ha mai conosciute. Sono persone nate e cresciute a Bologna. Requisito indispensabile: non avere precedenti penali per destare quanta meno attenzione possibile. E lo fanno con il valore aggiunto dell’arrotondato accento emiliano di uno nato da queste parti.
Sono professionisti, si diceva, che si occupano di compravendite di immobili e di investimenti. E sono consapevoli di ciò che stanno facendo e per conto di chi. Sia gli intermediari che i prestanome non vengono turlupinati. Non sono ingannati rispetto alle generalità e alle appartenenze dei loro committenti. E uno dei reati più frequenti è quelli del riciclaggio dei proventi dei clan derivanti soprattutto dal narcotraffico internazionale per lo più in ambito immobiliare.