Giovani italiani in piazza a Bruxelles per la manifestazione contro il precariato. Si perché anche nella capitale d’Europa i lavoratori precari non mancano, ma a ben guardare sono quelli che lavorano per le imprese o gli enti italiani. Gli altri un lavoro ce l’hanno. Infatti l’Italia, oltre alla pizza e agli spaghetti, è riuscita ad esportare all’estero anche il lavoro precario, con contrattini di qualche mese e stipendi da fame. A partire dagli stage, rigorosamente gratuiti nelle imprese italiane a Bruxelles dove spesso i ragazzi passano il tempo a fare fotocopie o a portare caffè. Nelle aziende straniere invece un minimo di rimborso spese c’è sempre, difficilmente sotto i 700 euro. Per non parlare delle istituzioni europee, dove gli stagisti vengono pagati circa 1.100 euro alla Commissione e circa 1.200 al Parlamento. “Invece gli stage del Ministero degli Esteri in giro per il mondo sono gratuiti, a meno che le università partner non mettano mano al portafogli”, spiega Stefano Panozzo del Laboratorio Europeo Precari Italiani. “In questo modo non si incentiva il merito perché si avvantaggiano i ragazzi che i soldi ce li hanno già, con un effetto negativo su tutto il sistema Paese”.
Dagli stagisti ai lavoratori, centinaia di ragazzi e ragazze dai profili più disparati che hanno abbandonato l’Italia con una computer portatile al posto della valigia di cartone. Come una delle organizzatrici della manifestazione, Lucia, 29 anni di Roma, che lavora come consulente : “Ho lasciato l’Italia per curiosità, ma francamente non trovo un motivo lavorativo per tornarci”. Un motivo invece ce l’ha Delia, 30 anni di Firenze, ricercatrice astrofisica: “Avevo iniziato a lavorare in Italia con contratti di 3 mesi, ma alla fine non c’erano più fondi”. Stessa storia per Angelo, 34 anni, siciliano, ricercatore all’Istituto di Meteorologia Satellitare di Bruxelles: “In Italia non c’erano più fondi, quindi me ne sono andato”. Con le altre professioni la sostanza non cambia. Daniela, 34 anni di Roma, architetto: “All’inizio cercavo un’esperienza all’estero. Adesso lavoro mentre i miei compagni all’università fanno fatica a trovare un impiego, come potrei tornare?”. Federica, 29 anni di Pordenone, lavora in un network di regioni europee: “Dopo due stage gratuiti in Italia non c’era alcune possibilità concreta di un lavoro”. Vera, 28 anni di Caserta, consulente: “Sono andata via perché lavoravo come un matta e prendevo 750 euro al mese. Prima di venire qui ho vissuto a Londra, dove dopo due settimane ho trovato un lavoro da 2.000 euro al mese”. Christian, 31 anni di Brescia, project manager europeo: “In Italia bisogna avere degli agganci per lavorare, qui no. E poi la mia professione, fondamentale per impiegare i fondi europei sul territorio, in Italia è quasi sconosciuta. E spesso è solo un fattore linguistico”. Raphael, 36 italo francese di Firenze, lavora nella mobilità: “Tornerei in Italia se avessi un lavoro che mi consentirebbe di condurre una vita decente e una crescita professionale, ma la vedo dura”.
Storie diverse ma allo stesso tempo uguali di ragazzi e ragazze che per non essere precari a vita hanno scelto di lasciare l’Italia. “Siamo l’altra faccia della medaglia il risultato del precariato in Italia ”, spiega Lucia, “un Paese dove ormai è impossibile farsi un futuro, comprare casa, pensare a una famiglia. Se poi sei una donna, avere un figlio diventa una chimera”. La manifestazione di Bruxelles è stata organizzata dal Laboratorio Europeo dei Precari Italiani con l’aiuto di Sel e dei ragazzi delle Fabbriche di Nichi Vendola. Tra i partiti politici hanno aderito Pd e IdV. Nessuna adesione da Pdl e Lega. “Evidentemente nel centrodestra non deve esistere la precarietà”, mormora qualcuno.