Striscione, maglietta antiprecarietà e tante storie (difficili) di lavoro alle spalle. In corteo a Roma non ci sono solo giovani e neolaureati, ma anche tanti, tantissimi quarantenni italiani, che hanno vissuto decenni di lavoro senza certezze: tutti a piazza della Repubblica a cantare e a ballare per gridare alla classe politica “il nostro tempo è adesso, la vita non aspetta”. Il loro motto e il nome del comitato promotore. Non è al futuro che pensano, non più. Vogliono il presente, qui e ora. E vogliono riprendersi il loro tempo e la loro vita. “Berlusconi fatti da parte con le tue barzellette e le tue vicende personali”, scandiscono: “Ci hai umiliati e trascinati in un baratro di povertà e disoccupazione perché non hai fronteggiato la crisi. Ora riprenditi le tue responsabilità”. Vanno verso il Colosseo e dal palco urleranno le loro ragioni, leggeranno un messaggio di Scalfaro, e daranno la parola alle reti e le associazioni coagulate in questi mesi di flash mob, speech corner, incontri, confronti, proposte. “Qui non veniamo per raccontare una singola storia di uno sfigato”, dice Salvo Barrano, promotore e archeologo free lance che da sei anni lavora con la partita Iva. “Abbiamo capito che la nostra forza è mobilitarci per esprimere il nostro disagio e per dire basta”.
Si avvicendano la rete degli avvocati praticanti, quella dei precari portuali, quella dei dottorandi precari, le donne diversamente occupate: “Vogliamo che al centro delle politiche del paese ci sia il lavoro perché non vogliamo che i lavoratori, soprattutto i più deboli rimangano ai margini della società senza diritti, senza welfare, senza uno straccio di assicurazione, senza uno straccio di certezza sul futuro”, dice Teresa Di Martina, 29 anni, una laurea conseguita due anni fa e “due stage in cui non ho visto un euro”.
“Dove lavori?” chiediamo a una donna travestita da fantasma che viene da Follonica. Sulla sua tunica c’è scritto “non sparate alla ricerca”. “Lavoravo all’Ispra di Casalotti qui a Roma”, risponde Roberta Rossi, 36 anni, una laurea in Biologia e un master post laurea: “Ci ho lavorato per 4 anni, senza contratto, sono stata lavoratore non occasionale, poi ho lavorato con una borsa di studio, poi come co.co.co. per sei mesi, ora sono senza contratto dallo scorso novembre quando ho vinto un concorso, pago anche l’affitto e qui nella capitale i prezzi sono altissimi, ma da cinque mesi non ci hanno fatto sapere niente”.
Sono il 30% dei giovani e dei meno giovani i lavoratori invisibili come lei. “Sono assegnista al Cnr e dal 29 gennaio hanno bloccato tutto: assunzioni, rinnovi dei contratti e hanno fatto il blocco del turn over così molti vanno i pensione lasciando buchi e noi a spasso e siamo in tanti”, sbotta Vincenzo Fiore, 38 anni, una laurea quinquennale. E master, un anno all’estero per mettere a lucido il suo curriculum, “ci lavoro da sette anni e mezzo al Cnr, sono entrato con un tirocinio gratuito e illegale, poi ora sono un fantasma”. Gli fanno eco i giornalisti precari: “Ci pagano 3 euro per un pezzo, è insostenibile perché la precarietà si è fatta vita per noi, e siamo costretti a fare tutti lavori e lavoretti o a vivere con i soldi dei genitori. E la nostra famiglia quando ce le facciamo? La vita non aspetta”.
Oltre ai precari e al comitato “Se non ora quando” (protagonista delle manifestazioni da un milione di persone del 13 febbraio scorso per rivendicare la dignità delle donne), si muove anche il mondo sindacale e – in parte – quelli della politica, della cultura e dello spettacolo. C’è Ilaria Lani, responsabile Politiche giovanili della Cgil: “Siamo in una condizione di stabile precarietà” che coinvolge già “due generazioni di lavoratori segnati da contratti a termine, senza diritti e con retribuzioni da fame. E poi ancora i disoccupati, il popolo delle partite Iva, gli studenti, gli stagisti, i ricercatori, i free lance. Poi il fronte dell’opposizione: Pd, Idv, Verdi, Pdci-Federazione della sinistra hanno dato la propria adesione all’iniziativa. Reti sociali, personaggi sconosciuti e famosi (Ascanio Celestini, Dario Vergassola, Dario Fo, Margherita Hack, Sabina Guzzanti, Subsonica sono solo alcuni dei nomi che figurano tra le adesioni raccolte). Ma i protagonisti sono loro: impiegati dei call center, part time nei grandi magazzini. E persino giovani imprenditori. Anche per loro, in molti casi, non esistono certezze.
Quindi, dopo il corteo arrivano i discorsi dal palco. C’è tanta gente. Davanti. Persino dietro, accovacciati sulle collinette dell’anfiteatro flavio. “Una gran bella giornata – dice soddisfatta Susanna Camusso, segretaria CGIL, che sta tra i giovani – perché i lavoratori precari hanno trovato forme connettive per dire che la precarietà non è il futuro del paese ma che è il loro. Ma oggi è un inizio in cui i giovani si riprendono la scena e cioè il diritto di diventare adulti e non adolescenti per la vita”. “Siamo una generazione che non ha intenzione di fuggire”, le fa eco Ilaria Lani, promotrice dell’appello: “Ma non siamo più disposti a orari impossibili, a lavorare senza diritti sindacali, la dignità di chi lavora è sempre la stessa e ora chiediamo che vengano cancellate le forme di sfruttamento mascherate e diritti garantiti per tutti perché questa crisi, tra una barzelletta del premier e l’altra, la stanno pagando i più deboli”.
Pongono dieci domande ai politici “che qui, bipartisan, non vengono mai”, denuncia Luigi Iorio, segretario giovani socialisti: “Prima o poi dovranno mettere mano sulla legge 30, rimodulare gli ammortizzatori sociali e scrivere lo statuto del lavoratore”. Salutano Giorgio Parisi, Sabina Guzzanti, i Subsonica, Umberto Guidoni, Margherita Hack che hanno aderito, tra gli altri all’appello. Poi è la volta del cast di “Boris”.
E poi tornano ancora loro, i protagonisti di questa giornata, “perché della nostra precarietà non parla mai nessuno”, strilla una giornalista di “Errori di stampa”. “Ci chiamano bamboccioni, dicono che dobbiamo abituarci ai lavori umili”, dice una neolaureata della Sapienza, e la voce si rompe. Applausi. Riprende: “Dicono che non ci sono risorse però noi studenti italiani dobbiamo pagare tutto: dai trasporti, agli affitti e poi una volta nel mercato del lavoro siamo più che abbandonati, sfruttati come delle nullità”.
“Sono una psicologa psicoterapeuta in formazione e da anni lavoro come operatore di laboratorio in tre centri diurni riabilitativi psichiatrici, assunta come collaboratrice a progetto da una cooperativa sociale costretta a pagare con i tempi Asl e cioè anche dopo sei mesi”, dice Chiara Barbato, del coordinamento lavoratori precari nel Sociale. “Retribuzione, stabilità e riqualificazione: sono questi per noi, gli elementi indispensabili per uscire dal paradosso che vivono quotidianamente i lavoratori come noi. Una precarietà doppia in cui si risponde ad una domanda di precarietà esistenziale con una risposta ugualmente precaria”.
Poi è la volta di Julian Colabello, dell’associazione praticanti “VI° piano”: “Io rappresento i praticanti che, non avendo diritti, non esistono per nessuno. Ecco perché negli studi legali non servono più le segretarie, i fattorini,…tanto ci siamo noi, i praticanti ma ora che la piazza l’abbiamo presa non la lasciamo più”. Prossimo appuntamento: il sei maggio, “sciopero generale: svuotiamo i posti di lavoro, le fabbriche, riempiamo le strade. Dobbiamo esserci di nuovo tutti quanti”.