Mentre gli sforzi diplomatici per risolvere la crisi vanno avanti, in Libia si continua a combattere. Le forze di Muammar Gheddafi sono entrati ad Ajdabiya dove i ribelli stanno avendo la peggio in violenti combattimenti corpo a corpo. I soldati lealisti controllano alcune zone della città coperti dai cecchini che colpiscono dall’alto. Secondo fonti ospedale, sono rimaste uccise 21 persone: 11 ribelli e 10 militari del colonnello. Vittime che si vanno ad aggiungere a quelle di ieri: secondo gli insorti almeno 30 combattenti hanno perso la vita negli scontri a Misurata (leggi la cronaca di ieri).
Anche i raid della Nato vanno avanti. Gli aerei dell’alleanza atlantica oggi nel primo pomeriggio hanno distrutto 25 carri armati delle forze di Gheddafi in due diverse operazioni: 14 nei pressi di Misurata e 11 sulla strada che porta ad Ajdabiya. Negli ultimi due giorni i tank colpiti erano stati 15 nella zona di Misurata, la città controllata dai ribelli e sotto assedio da oltre un mese, e due a sud di Brega, nell’est del paese. I caccia Nato ieri hanno anche intercettato un Mig 23 degli insorti che è stato fatto atterrare perché stava violando la no fly zone imposta dall’Onu.
”Bengasi oggi è una città sicura, ma per Tripoli, Misurata, Zenten, l’incubo non è finito”, ha detto Mustafa Abdel Jalil, capo del Consiglio nazionale transitorio dei ribelli libici, in un’intervista al Gr Rai, a due giorni dalla sua visita a Roma dove incontrerà le massime cariche dello Stato. “Per questo chiediamo all’Italia e al resto del mondo di fare di più perché la nostra gente possa affrancarsi dal giogo del regime”. Jalil ha comunque detto di essere riconoscente al governo italiano per quello che ha fatto e sta facendo per difendere i civili e ha garantito il suo impegno “per combattere l’immigrazione clandestina, un’emergenza che vede l’Italia in prima linea. Ma vorremmo anche che l’Italia ci desse una mano nell’affrontare tutto questo, aiutandoci a proteggere le nostre frontiere”.
Sul fronte diplomatico l’Unione africana chiede la cessazione immediata delle ostilità, per poter avviare un periodo di transizione che consenta di introdurre riforme politiche. E’ questa la richiesta arrivata dal gruppo di mediatori composto dai presidenti del Sudafrica, del Mali, della Mauritania, dell’Uganda e della Repubblica del Congo che oggi iniziano la loro missione a Tripoli e a Bengasi per incontrare sia Gheddafi, sia i leader della rivolta. Nella loro dichiarazione chiedono anche di consentire il passaggio dei convogli di aiuti umanitari e la necessità di promuovere il dialogo tra il governo libico e il Consiglio nazionale di Transizione.
Una promessa per il dopo crisi è arrivata dal capo del parlamento libico, Mohamed Zwei, il quale ha reso noto che ai libici sarà sottoposto un progetto di costituzione, in preparazione dal 2007.