Immediato ‘cessate il fuoco’, promozione del dialogo nazionale, protezione degli stranieri nel Paese e consegna di aiuti umanitari. Questa la ricetta proposta dall’Unione Africana per risolvere lo scontro militare in Libia. Muhammar Gheddafi avrebbe accettato, nonostante abbia più volte annunciato e disatteso l’ipotesi di uno stop all’uso delle armi sui cittadini libici. Per questo la Nato – tramite il suo generale Anders Fogh Rasmussen – invita alla cautela: “Qualsiasi cessate il fuoco in Libia deve essere credibile e verificabile”. Il colonnello ha espresso la sua posizione conciliante durante l’incontro di ieri con il presidente sudafricano Jacob Zuma e gli altri tre leader del continente, in rappresentanza dell’Unione Africana. Oggi la delegazione ha raggiunto Bengasi per continuare la trattativa con il Consiglio nazionale transitorio, l’organismo che rappresenta gli insorti.
L’incontro però non ha avuto lo stesso successo: i ribelli hanno rifiutare la proposta dell’Ua perché prevede un accordo con il rais. “Non negozieremo con il sangue dei nostri martiri”, hanno fatto sapere. “Non accetteremo alcun ‘cessate il fuoco’ se prima le truppe di Gheddafi non si ritirano dalle strade delle città libiche”, ha aggiunto Chamseddin Abdelmaula, portavoce del Cnt. “La gente deve essere autorizzata a scendere in strada ed esprimere le proprie opinioni e i soldati devono tornare nelle caserme”, ha concluso. L’unica possibilità prevista sono le dimissioni e l’esilio del colonnello. Di cui pare si sia parlato anche nell’incontro tra lo stesso Gheddafi e la delegazione Ua. “Ci sono state discussioni su questo punto, ma non posso riferire in merito”, ha detto il commissario dell’Unione Africana per la pace e la sicurezza, Ramtane Lamamra. “E’ una questione che deve rimanere riservata e comunque spetta al popolo libico scegliere i suoi leader democraticamente”, ha aggiunto. Esclude la possibilità di una partenza del leader libico il figlio Seif al Islam che, in un’intervista alla tv Bfm, ha definito la possibilità “davvero ridicola”. Ma il figlio del Colonnello ha anche dichiarato la volontà di “portare alla ribalta una nuova di giovani che governino il Paese”. Per Seif, in Libia serve “sangue nuovo”.
Una soluzione incoraggiata anche dalla comunità internazionale. “I figli e la famiglia di Gheddafi non possono avere alcuna parte nel futuro della vita politica libica”, ha dichiarato in un’intervista all’emittente francese ‘Europe 1’ il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini. “Credo che debba ritirarsi, è una precondizione per cominciare da capo la riconciliazione nazionale libica”, ha aggiunto Frattini. Opinioni personali quelle del ministro, come sottolinea lui stesso, ma che toccano tutti i punti centrali della questione. Come la fornitura di armi chiesta dai ribelli e la possibilità di un cambio nelle azioni militari italiane: “Un intervento a terra in Libia per me è impossibile”, ha commentato Frattini, che ricorda il peccato originale del passato coloniale dell’Italia nel Paese. Ma “la risoluzione Onu permette che siano fornite armi”, continua il ministro, rispondendo indirettamente alle richieste dei ribelli.
Sul fronte diplomatico, a essere impegnata nella ricerca di una trattativa non è solo l’Unione Africana. La questione libica verrà discussa anche nel terzo vertice del gruppo Bric (tra Brasile, Russia, India e Cina) – che si svolgerà a Sanya, nell’isola meridionale cinese di Henan – a cui parteciperà per la prima volta il Sudafrica e durante la riunione di domani a Lussemburgo tra i ministri degli Esteri dell’Unione Europea. Rimandata invece a venerdì la visita alla Farnesina di Mustafa AbdulJalil, presidente del Consiglio nazionale transitorio libico. Al suo posto, domani, il ministro degli Esteri del Cnt, Ali al-Isawi, e il generale Abdel-Fattah Younis, capo delle operazioni militari dei ribelli, incontreranno il ministro Frattini. Saranno a Roma già stasera ed è prevista una cena con il sottosegretario agli Esteri Stefania Craxi.
Nel Paese intanto si continua a combattere. Domenica ad Ajdabiya la Nato ha annunciato di aver distrutto 25 blindati delle milizie di Gheddafi, permettendo ai ribelli di riprendere il controllo della città e avanzare verso Brega. Pronta però è arrivata la risposta lealista, che ha sparato missili Grad sulla città di Misurata – e soprattutto sul quartiere residenziale di al-Bira – provocando almeno 5 morti e 20 feriti, come riferito da una fonte ribelle. Le truppe del colonnello sarebbero aiutate da alcune brigate della Guardia repubblicana del Ciad, guidate da alti responsabili del Paese. Sempre secondo gli insorti, si tratterebbe di un ringraziamento a Gheddafi per “avergli inviato armi quando ci sono stati attacchi di gruppi armati contro la capitale nel 2008”. Lo conferma il quotidiano francese ‘Le Figaro’, che racconta la partecipazione alle operazioni belliche di uomini del Ciad fra le tribù vicine a quelle libiche e dell’uso dell’ambasciata del Paese come uno dei centri di reclutamento dei mercenari. Secondo la televisione di Stato libica, infine, i raid aerei dei Paesi della coalizione internazionale – definiti “crociati aggressori e colonialisti” – avrebbero colpito in giornata “siti civili e militari” della municipalità di Giofra, nel centro del Paese.