Giustizia & Impunità

Processo Mediaset, Berlusconi in aula <br/> “Pagai Ruby perché non si prostituisse”

Il Cavaliere oggi in aula per il processo per frode fiscale sulla compravendita dei diritti cinematografici e televisivi. Fuori dal Palazzo di Giustizia il Pdl ha organizzato un presidio con tanto di palco da dove B. arringherà la folla

Silvio Berlusconi esce dal tribunale e si ferma a parlare con la folla

Erano annunciate 2.000 persone ne sono arrivate 200, chi a piedi, chi a bordo di sei pullman. Per ore hanno urlato e sostenuto Silvio Berlusconi che questa mattina ha partecipato all’udienza per il processo Mediaset. Il Cavaliere ha attaccato i giudici (“utilizzati come arma politica”), ha ribadito la necessità sulla riforma dell giustizia e ha parlato di Ruby: “L’ho pagata perché non si prostituisse”. Parole snocciolate dentro, ma soprattutto fuori dall’aula proprio davanti ai suoi fan. Chi c’era ha risposto a una chiamata arrivata direttamente dal premier che, lo ha ribadito più volte, vuole trasformare le udienze dei suoi processi in comizi politici in vista delle imminenti elezioni regionali. Un colpo di coda per minimizzare le sempre più crescenti divisioni all’interno del partito del predellino. La risposta più efficace ai vari Scajola, Alemanno e Matteoli e ai loro tentativi di creare correnti politiche semiclandestine all’interno del popolo azzurro. La mente della claque è diretta da personaggi del calibro di Ignazio La Russa e Denis Verdini, mentre la fase meramente organizzativa, a partire dal trasporto delle truppe cammellate davanti al Tribunale, è affidata al coordinamento lombardo del Pdl. Alla fine, però, la grande adunata si è trasformata in un mezzo flop con il Cavaliere che al termine dell’udienza (sospesa con aggiornamento alle 15) ha arringato una piccola folla di fedelissimi. Gli stessi che durante le ore di attesa di fronte a palazzo di Giustizia segnalavano alle forze dell’ordine i giornalisti “infiltrati”. I cronisti così sono stati identificati e spostati dietro le transenne.

Fotogrammi da palazzo di Giustizia di Milano. Qui la giornata inizia molto presto. Fuori e dentro al palazzo. Dove l’udienza è stata pubblica. Pronti via e in aula si presenta  il sottosegretario Daniela Santanché. Quindi tocca agli avvocati del Cavaliere che ai cronisti annunciano la presenza in aula del premier per tutta la mattinata. Così sarà. Nel frattempo fuori dal palazzo, poco dopo le nove, iniziano le grandi manovre dei supporter. Attendono in via Freguglia. Sono armati di palloncini azzurri con la scritta ‘Silvio resisti!’ e di striscioni con lo stesso messaggio e bandiere del Pdl. Nel frattempo, le forze dell’ordine completano la blindatura dell’aula. Controlli di polizia vengono attivati nei corridoi del Palazzo di Giustizia anche con l’ausilio di numerosi agenti in borghese e squadre di poliziotti con cani antiesplosivo.

Sette minuti prima delle dieci, Silvio Berlusconi entra in aula. E inizia a parlare. Da questo momento in poi i lanci di agenzia inseguono le sue dichiarazioni. E mentre, i giudici gli revocano la contumacia, lui attacca la magistratura “che lavora contro il paese”. E’ solo l’inizio. Il premier rilancia sul bavaglio: “Le intercettazioni non fanno fede in un paese serio, non fanno fede né per l’accusa né per la difesa perché sono manipolabili”. Quindi scherza: “Siccome c’è da fare poco al governo sono qui per trovare un’occupazione”. Dopodiché passa alla questione “fango” che “viene su di me che in fondo sono un signore ricco, ma che viene su tutto il paese”. Colpa, naturalmente, di questi “processi mediatici”, vera “dimostrazione” di come  “nel nostro paese siamo giunti a una situazione limite per cui bisogna riformare la giustizia”. Una riforma “affatto punitiva” ma utile a “portare la magistratura ad essere quello che deve essere, non quello che è oggi come arma di lotta politica”

Insomma, il copione è quello conosciuto. Con il Cavaliere che carica a testa bassa i pm e i suoi fan che, pur ammettendo di non sapere nemmeno quale processo si stia celebrando in aula, rilanciano: “Gli sono saltati addosso”. E così, venti minuti dopo l’inizio del processo, gli altoparlanti sistemati davanti all’ingresso del Palazzo di Giustizia iniziano a diffondere le note di ‘Meno male che Silvio c’ e”. L’inno a Berlusconi viene intonato dai circa 200 sostenitori del premier muniti di bandiere del Popolo delle libertà e tricolori. Numerose anche le bandiere della Copagri (Confederazione dei produttori agricoli), mentre più defilato si intravede un vessillo del Sole delle Alpi. La musica ad alto volume si sente distintamente anche all’interno del Palazzo di Giustizia. Tra i manifestanti il senatore Mario Mantovani, coordinatore lombardo del Pdl, che al microfono ringrazia le persone “Siete accorsi davvero numerosi – dice – a sostenere il presidente Berlusconi. Questa mattina Berlusconi avrebbe dovuto recarsi a Palazzo Chigi. C’è il problema dell’ immigrazione. L’Europa che ci ha lasciato soli. Ebbene, nonostante tutti questi problemi Berlusconi è qui questa mattina per sottoporsi a un ennesimo processo che gli viene comminato da certa magistratura. Sono convinto che i bisogni del paese siano diversi e mai avrei pensato nella mia storia politica ad essere qui davanti a un tribunale a difendere la libertà”. Nel grande circo fuori da palazzo c’è anche il tempo per un attacco a Marco Travaglio. A portarlo è il deputato Pdl Giorgio Stracquadanio per il quale il vicedirettore de Il Fatto Quotidiano “è un delinquente quotidiano perché ha avuto sette condanne definitive. Berlusconi, invece, è l’uomo più processato d’Italia ma è anche il più incensurato”. Ce ne è anche per il nostro giornale definito “il fango quotidiano”.

Nel frattempo, il processo entra nel vivo. Viene sentita Paola Messia, collaboratrice di Frank Agrama. Lui e Berlusconi, conferma, “si conoscevano” personalmente. Lo so, perché li ho visti”. La Massia spiega, inoltre, di aver lavorato con Agrama fino all’86 e per qualche mese dell’87, dichiarando di aver “venduto prodotti anche a Rete Italia” e che trattava con Carlo Bernasconi, manager del gruppo, morto qualche anno fa. La donna rivela, poi, che nelle trattative Bernasconi “chiedeva e parlava con una persona”. E quando il magistrato l’ha interpella su chi era questa persona, la risposta è stata: “Berlusconi”.

Venti minuti prima dell’una, il premier lascia l’aula. Commenti? Uno su tutti. “Ho passato una mattina surreale”. Dopodiché prende il microfono.