Torna l’allarme buco nell’ozono. Questa volta, però, non in Antartide come negli anni addietro, ma dalla parte opposta della Terra: al Polo nord. Un fenomeno “nuovo ed inusuale”, che presenta record mai registrati prima.
Generalmente, l’ozonosfera è più spessa ai poli che all’equatore, ed ogni anno durante l’inverno subisce una riduzione temporanea nelle regioni polari. In questi ultimi mesi, però, il suo assottigliamento è stato del 40%: 10 punti percentuali oltre la media stagionale. Il livello più basso mai raggiunto. Ad effettuare e diffondere le rilevazioni sono state contemporaneamente l’Agenzia Spaziale Europea (Esa) e l’Organizzazione Meteorologica Mondiale delle Nazioni Unite (Omm). Che, in una nota, ha rilanciato con forza la necessità di ridurre nella nostra atmosfera sostanze nocive come clorofluorocarburi (Cfc), gas refrigeranti ed idrocarburi alogenati. Tutti composti che, ormai da alcuni decenni, stanno causando il deterioramento innaturale di questo importante filtro di raggi ultravioletti. Serve agire subito, affermano gli scienziati, perché questi gas possono rimanere in atmosfera anche più di 120 anni.
Era da tempo che non si sentiva nominare, ma oggi lo strato di ozono torna a far parlare di sé. Dopo la messa al bando, avvenuta oltre vent’anni fa, del freon e di altre sostanze come gli halon degli estintori, si pensava che almeno questo problema ambientale l’umanità fosse riuscita a risolverlo. Invece, dall’inizio dell’inverno alla fine di marzo di quest’anno, sopra i cieli della calotta polare si è registrato un assottigliamento della barriera terrestre ai raggi UV che non si era mai visto prima. La situazione è degenerata a causa delle temperature insolitamente rigide di quest’ultimo inverno: un freddo arrivato a superare i -78ºC. “L’assottigliamento è massimo alla fine dell’inverno, soprattutto se particolarmente freddo come quest’anno, perché i raggi solari che raggiungono la stratosfera interagiscono con i Cfc facendo loro rilasciare gli atomi di cloro e bromo che a loro volta distruggono l’ozono”, spiega Paolo Bonasoni dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima (Isac) del Cnr di Bologna: “Per effetto della circolazione atmosferica questi inquinanti vengono poi portati dal livello del terreno alla stratosfera, e si concentrano ai poli”.
In pratica, le sostanze chimiche che ledono l’ozonosfera si sono combinate al cosiddetto “vortice polare”, un’area di bassa pressione che ha provocato venti più forti del normale. Questi hanno allontanato la massa atmosferica sul Polo Nord, impedendole di mischiarsi con l’aria più calda delle medie latitudini. In questo modo si sono generate le temperature eccessivamente basse di cui sopra. Un circolo vizioso, che anche l’Esa spiega così: “Durante il mese di marzo questa massa d’aria fredda, colpita dalla luce del sole, ha rilasciato, soprattutto nella parte più bassa della stratosfera, a circa 20 km dalla superficie, atomi di cloro e bromo, prodotti dei clorofluorocarburi”, i responsabili del progressivo disfacimento dell’ozono.
Le temperature stratosferiche non erano così basse dal 1997, ma per l’Esa questo fenomeno continuerà a ripetersi nei prossimi decenni. Ciò che si cerca di capire ora è il motivo dell’improvviso calo di quest’anno, e soprattutto il suo eventuale legame con i cambiamenti climatici. Per Michel Jarraud, segretario generale della Omm: “La stratosfera artica continua ad essere vulnerabile alla distruzione dell’ozono a causa delle sostanze lesive dell’ozono legate alle attività umane”. Bisogna fare attenzione, quindi. Prima che la situazione precipiti. “Il grado di perdita ogni inverno dipende dalle condizioni meteorologiche”, ha aggiunto Jarraud: “Per il 2011 la diminuzione dello strato comprova che dobbiamo restare vigili e seguire da vicino la situazione nella regione artica nei prossimi anni”.