Quando frequentavo ragioneria al Tanari ero circondato da ragazzini/e eccessivamente normali e mi annoiavo a morte, come solo ci si può annoiare frequentando gente normale. Ah, pure io ero normale, chi non lo è?
Correvano gli anni ottanta, c’era sempre Gheddafi che stracciava (o gli stracciavano) i maroni, gli americani democratici che bombardavano a fin di bene, il muro di Berlino ancora intatto e gli umarells che potevano dire di aver fatto la guerra, mica come quelli di adesso. A Bologna si diceva già che non era più la Bologna di una volta, che il panc era morto, che si stava meglio nel settantasette, che Red Ronni non andava bene e che Milano Marittima era meglio di Riccione. In sottofondo, gli Skiantos già avanti con gli anni che si riunivano, i Litfiba, i CCCP e a tutta una serie di nullafacenti bolognesi miei coetanei che mi danno la spinta per creare una bend: i New Hyronja. Genere: rock folcloristico maschilista filosolfanaio (genere che cambierà e si evolverà di anno in anno fino a tramutarsi in alternativ insein).
Primo concerto al QBO nel febbraio 1987, qualche anno più avanti chiudono il locale di Via Valparaiso per colpa di quello che adesso chiameremo il degrado. Noi e le nostre roc bend eravamo il degrado e ci divertivamo un mondo. Ora e sempre: viva il degrado. Poi era figo dire “Sai, stasera suono al Bestial Marchet. Presento i nuovi pezzi. Mi vieni a vedere?”.
Bei tempi. Un bel gioco di ruolo che mi ha accompagnato anche per tutti gli anni novanta, periodo indimenticabile perchè quando suonavo dal vivo era pieno di gente che alla fine del laiv comprava il cidi e così ci si autofinanziava le proprie autoproduzioni. Pagamento dell’esibizione rigorosamnte in nero, ma almeno pagavano, mica come adesso.
Poi il tracollo: norme antirumore, sindaci sceriffi, cani che cagano sotto ai portici, pubblico poco attento, emmepitre, droghe sintetiche e soprattutto tutti quanti che suonavano in una bend.
Si, tutti. La nuova omologazione era diventata suonare. Qua a Bologna ancora adesso suonan tutti, cantan tutti, dipingon tutti, son tutti artisti. In realtà fanno tutti un altro lavoro, ma la sera è bello raccontarsi che si è degli artisi per consolarsi dalle solite fallimentari settimane lavorative.
Annoiato da questa nuova forma di omologazione e segnato dal tempo che avanza, abbadono i bolsi palchi roc e mi chiudo in casa a scrivere. Finisce che mi pubblicano due libri che van benissimo, UMARELLS e IL CODICE BOLOGNA (ah, tra poco esce quello nuovo che chiude la trilogia bolognese).
Successo glocale a parte, non vado certo in giro a dire che sono uno scrittore, le bollette le pago ancora principalmente con la mia attività di consulente ueb e comunicazione, ma però nella Bologna Springfild sono riconosciuto come tale. Buon per me e me la godo consapevole di tutti i miei limiti di adultolescente e di scrittore.
Non faccio in tempo a sentirmi un po’ diverso dagli altri che, grazie anche al malcostume di pubblicarsi un libro da soli, tutte le persone che frequento sono diventate scrittori/trici e non c’è settimana che non ci sia qualcuno che mi spedisce le proprie opere dell’ingegno per posta o che me le lasci in radio.
L’omologazione artistica bolognese è un fondamentale di questa città che amo, ma non è la sola. In questi giorni di aprile fa capolino un nuovo trend tra gli adultolescenti della metropoli di provincia. Dopo “Oh lo sai che suono il basso con Moreno?” e dopo “Oh lo sai che ho scritto un libro?” ecco arrivare la nuova moda passeggera “Oh lo sai che mi sono candidato/a?”.
Centinaia di individui improponibili stanchi di normalità e desiderosi di qualcosa che non sia il solito lavoro ripetitivo, l’affetto di un gatto o di un cane che alleviano i dolori della solitudine, un menaggg famigliare noioso o ferite adolescenziali mai rimarginate si candidano con un partito, non importa quale. Obiettivo: essere eletti e diventare consiglieri comunali. Un’alternativa allo schiacciante anonimato, un modo come un altro per crearsi un ruolo finalizzato a pompare un ego stanco e flautolente. Tipo entrare nella casa del Grande Fratello.
Ovviamente quasi nessuno di questi verrà eletto, ma almeno potranno dire che ci hanno provato e che ci sono stati dei brogli. Bravi! Bisogna provarci sempre, poi, finita la sbornia e la lamentela, torneranno tutti a produrre arte dopolavorista come impone la tradizione bolognese. Guai se così non fosse. Una Bologna peggiore è possibile.
Bologna che suona, che scrive e che si candida
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