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Costa d’Avorio, dopo l’arresto
di Gbagbo inizia un un’epoca di incertezze

Il leader è ora Alassane Ouattara, considerato il legittimo vincitore delle elezioni dell’anno scorso. Il presidente Usa Obama ha già fatto sapere che i gruppi di miliziani devono lasciare le armi, riconoscendo l’esercito regolare
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Un'immagine di Laurent Gbagdo dopo l'arresto

NEW YORK – La fine di un incubo, ha detto qualcuno. L’inizio di un’era di incertezze, potrebbero dire altri. Il contestato presidente della Costa d’Avorio, Laurent Gbagbo, è stato arrestato. Il leader è ora Alassane Ouattara, considerato il legittimo vincitore delle elezioni dell’anno scorso. Obama, col pensiero rivolto al continente di suo padre, ha detto che uno Stato africano “che è democratico e rispetta i diritti delle sue persone, avrà un amico negli Stati Uniti d’America”.

Si chiudono così cinque mesi di tensioni e sangue, si apre un periodo con molte incognite. Gbagbo è cristiano, Ouattara musulmano. Le divisioni – non solo religiose, ma anche etniche – non verranno cancellate con l’uscita del “tiranno”. Anzi, le tensioni potrebbero accentuarsi. La Costa d’Avorio, che ha guadagnato l’indipendenza nel 1960, è già stata travagliata da una guerra civile, scoppiata nel 2002. I protagonisti, allora, erano gli stessi di oggi.

Quella guerra iniziò perché a Ouattara venne impedito di sfidare Gbagbo nella corsa alle presidenziali. Un referendum, indetto proprio per toglierlo di mezzo, stabilì che si poteva candidare soltanto chi aveva entrambi i genitori ivoriani. Il padre di Ouattara è nato in Burkina Faso. Gbagbo rimase al potere, nonostante un tentativo di farlo cadere, tentato mentre lui era in visita in Italia. Il Paese si divise tra il Nord in mano ai ribelli e il Sud, con il porto Abidjan in mano alle forze governative.

Nonostante gli innumerevoli tentativi di portare la pace in Costa d’Avorio, scontri e schermaglie continuarono. Il Palazzo di Vetro decise di dispiegare i Caschi Blu, con la missione Unoci. La pace era un sogno fragile, intravisto ai mondiali del 2006, quelli dell’Italia campione. Gli ivoriani fermano gli scontri perché la nazionale riuscì a qualificarsi. Durò poco. Le tensioni tornarono con le elezioni, continuamente rimandate dal 2005 e finalmente indette nel 2010. Ouattara riuscì a presentarsi e a vincere. Gbagbo non accettò la sconfitta.

Torniamo all’attualità, e alle incognite per il futuro. Guillame Soro, il primo ministro fedele al nuovo presidente, ha chiesto alle forze avversarie di unirsi in una grande alleanza, in un governo di unità nazionale, per scongiurare nuove lacerazioni che potrebbero far ripiombare la Costa d’Avorio nell’abisso. Obama, parlando dagli Stati Uniti, ha detto che i gruppi di miliziani devono lasciare le armi, riconoscendo l’esercito regolare (nel quale, forse, verranno assorbiti).

Le milizie fedeli a Gbagbo potrebbero accettare. Ma potrebbero anche covare rancore, puntando il dito contro la Francia, l’ex potenza coloniale che ha avuto un ruolo fondamentale in questa crisi. Ouattara è stato aiutato da Parigi già durante la guerra civile del 2002: allora si rifugiò nell’ambasciata francese per evitare il peggio. Ieri l’Eliseo lo ha aiutato a diventare il vero presidente di un Paese che esce da un incubo ed entra, di nuovo, in un’era di incertezza.

di Matteo Bosco Bortolaso

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