Dicono che bisogna stare sereni. Dicono che è tutto nella norma. Come se fosse normale accertare che il latte materno delle donne campane che vivono in prossimità dei cumuli di rifiuti è più inquinato. Come se fosse normale apprendere che nel sangue degli abitanti di Pianura, quartiere di Napoli, dove ancora vivo è il ricordo di una imponente discarica malgestita e non bonificata, hanno rintracciato livelli di diossina tipo “Seveso” (la più pericolosa) tre volte superiori a quelle dei paesi meno contaminati e livelli di cadmio e diossine-benzofurani doppi.

Dicono che non bisogna suscitare allarmismi. Dicono, per bocca del parlamentare Pdl Raffaele Calabrò, medico e consigliere sanitario del governatore Stefano Caldoro “che si tratta di un’indagine significativa, che deve tranquillizzare la popolazione”. Sarà difficile. Ci credono in pochi. Perché le carte dei rapporti sanitari sembrano dire altro. Perché le parole servono a poco, se le esperienze personali sono diverse. Se si moltiplicano i casi di cancro e di leucemia. Se ci sono intere aree della Campania dove ogni famiglia ha un caso di tumore al proprio interno.

Ieri la Regione Campania ha presentato ufficialmente in una conferenza riservata alla stampa e chiusa al pubblico lo studio Sebiorec. Si tratta di una ricerca epidemiologica sulla presenza di sostanze inquinanti nel sangue e nel latte materno realizzata in collaborazione con l’Istituto Nazionale per la Sanità e il Cnr. La relazione di 112 pagine giaceva nei cassetti da molti mesi, e chissà quanta polvere avrebbe ancora accumulato se un grande cronista di temi ambientali e sanitari come Emiliano Fittipaldi non fosse riuscito a procurarsene una copia e a spiegarla ai lettori dell’Espresso in un articolo significativamente titolato Campania col veleno in corpo.

E che veleni. C’è la diossina. C’è l’arsenico nell’acqua. Troppo. Ci sono città inquinate dai pericolosi Pcb. In alcuni comuni bisognerebbe stare molto attenti. A Villaricca, Qualiano, Caivano, Brusciano i livelli di guardia di arsenico sono stati superati. A Giugliano, il bidone a cielo aperto di un reportage del Fatto Quotidiano di qualche mese fa, preoccupano i livelli di mercurio. A Nola, troppo alti i valori di Pcb. Non stiamo parlando di paesini. Comprendendo Pianura, stiamo parlando di quasi mezzo milione di abitanti che convivono con fattori inquinanti i cui effetti sulla salute di medio e lungo periodo sono tutti da verificare. Anche perché in Campania non esiste un Registro Tumori degno di essere chiamato tale, dopo il misterioso storno dei fondi di qualche anno fa.

E così la Regione ha deciso finalmente di rendere pubblico il Sebiorec e di commentarlo, sia pure evitando con cura il confronto con chi avrebbe contestato con veemenza le risultanze “tranquillizzanti” esposte dai politici. I dati del rapporto, purtroppo, sono inconfutabili. Ma le interpretazioni sono diverse. Quella di Calabrò l’abbiamo riferita. Quella, assai più prudente, di Fabrizio Bianchi del Cnr di Pisa, è già molto diversa: “La popolazione studiata non appare sovraesposta agli inquinamenti che arrivano dalle persone soprattutto dagli alimenti. Ma conviene promuovere ulteriori verifiche e in alcuni comuni converrebbe promuovere piani di sorveglianza individuale”.

C’è poi l’interpretazione dell’Isde, l’associazione dei Medici per l’Ambiente, a cui è stato impedito di partecipare alla conferenza. Le loro parole sono critiche: “Molti punti devono essere ancora chiariti. I protocolli non sono stati completamente rispettati. Lo studio si conclude con un numero di domande maggiori di quante risposte sia in grado di fornire”. Di qui la sacrosanta paura di chi non si sente per niente tranquillo, caro onorevole Calabrò.

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