Studenti che calano, poca specializzazione, istituzioni poco presenti o in conflitto tra loro, lotte intestine, pressing corporativo Bologna-centrico. Corre il rischio di infilarsi in un cul de sac il polo universitario riminese dell’Alma Mater, ora come non mai al bivio della propria breve storia. Va detto, la divisione rivierasca dell’Università “più antica del mondo” offre oggi 19 corsi ed è cresciuta non poco in questi anni: gli iscritti sono circa sei mila contro i 77 del 1994, l’anno della fondazione, e garantiscono un indotto di 15 milioni di euro all’anno sul territorio.
Nel quadro, però, ci sono luci e ombre. Gli ex studenti a Rimini a cinque anni di distanza dalla laurea percepiscono circa 1.300 euro al mese, che per le donne scendono a 1.100. I riminesi che attualmente frequentano l’Università sono in calo dell’1,6% rispetto a un anno fa: 1.202 le matricole, pari al meno 1,8%. Solo sei riminesi su 10, dopo il diploma, si sono iscritti a un corso universitario. E se gli studenti se la cavano abbastanza bene, dato che il 75% è in regola con gli insegnamenti, molti di loro restano nell’ateneo sotto casa.
Anche in questo caso parlano i dati: il 72,5% (5.641 giovani) frequenta l’università di Bologna, il 10,8% studia a Urbino, il 3,3% a Ferrara e il 4% a Ancona o a San Marino. In sintesi, un quarto dei riminesi studia a Rimini.
Ce n’è abbastanza e anche di più per far infuriare la Provincia, uno dei principali soci di riferimento della società consortile Uni.Rimini. Il vice presidente dell’ente di corso d’Augusto Carlo Bulletti, medico e accademico da curriculum-papiro, ha sganciato la bomba così: “La visione dell’Università nel nostro territorio, e parlo a nome dell’amministrazione provinciale, è sbagliata. L’asticella dell’istruzione universitaria è bassissima. A Rimini ci sono molte lauree triennali, portiamo i laureati a competere con i nuovi cittadini e non con l’Europa. C’è carenza di ingegneri, di informatici, di medici. Non abbiamo abbastanza laureati in lauree strategiche che possono far competere il territorio riminese a livello europeo”.
Apriti cielo. Il presidente del polo Giorgio Cantelli Forti, già candidato al rettorato dell’Alma Mater nel 2009, l’ha presa come un affronto personale e ha scritto all’illustre collega una lettera al cianuro: “Cosa giova dichiarare che a Rimini gli studenti calano e abbandonano l’Università quando tu, pur essendo stato designato per due (dico due!) mandati nel Consiglio del polo scientifico-didattico della sede di Rimini non hai mai partecipato ad un Consiglio?”. Rimproverando al Bulletti “un vero e proprio autogol”, il pezzo grosso Cantelli Forti ha invocato la ragione di Stato: “Il momento è delicato perché con la revisione dello statuto d’Ateneo è in atto una forte pressione corporativa Bologna-centrica che se si dovesse esprimere in una maggioranza aggraverebbe ancora di più gli animi dei ‘Volonterosi Docenti e Ricercatori di Rimini’ creando panico e decisioni di rientro”. E infine, una bacchettata da “segrete stanze” all’ingrato Bulletti: “Forse non ti ricordi, ma prima di trasferire il tuo ruolo universitario a Rimini sei venuto nel mio ufficio…”.
Il numero due della Provincia, quindi, ha giocato la carta ‘baroni’, ricordando a Cantelli Forti che “solitamente la mancanza di un trasparente e sincero dibattito pubblico giova solo a piccoli gruppi interessati a mantenere un potere”. Un bel pasticcio in barba a chi, coi tempi che corrono, nell’Università crede e conta. Come si dice, in ogni città l’Università non dovrebbe rappresentare una agorà polemica ma libera? La trasparenza e il dibattito non sono un must per ogni ufficio addentellato con la vita pubblica? Ne è convinto il presidente della Provincia in questione, Stefano Vitali, che dopo aver difeso Bulletti ha deciso di passare ai fatti: “Voglio un’impostazione metodologica più aperta, su questo cercherò un approfondimento diretto con il rettore dell’Università di Bologna, il professor Ivano Dionigi”. Sta a vedere che il match Cantelli Forti-Dionigi stavolta si consuma all’ombra del Grand Hotel.
Luca Donigaglia