Premiato con un David di Donatello, il documentario di Filippo Vendemmiati ripercorre il caso dell'uccisione del diciottenne, avvenuta a Ferrara nel 2005, per cui sono stati condannati in primo grado quattro agenti. Il regista: "Le istituzioni non possono deviare le indagini"
“Le istituzioni non possono coprire gli uomini delle forze dell’ordine che sbagliano, né deviare le indagini. Devono essere trasparenti. E’ questo che ci insegna la tragedia di Federico Aldrovandi”. Così Filippo Vendemmiati, giornalista Rai dell’Emilia Romagna, riassume il suo film E’ stato morto un ragazzo (Promo Music, libro + dvd, 19 euro), premiato la settimana scorsa come migliore documentario con il David di Donatello. Era l’alba del 25 settembre 2005, Federico aveva appena compiuto 18 anni e stava rientrando nella sua casa di Ferrara dopo una serata con gli amici. Ha incontrato quattro uomini delle forze dell’ordine e dopo pochi minuti è rimasto a terra senza vita, ammanettato con le mani dietro la schiena, coperto dai lividi causati, come verrà dimostrato in sede giudiziaria, dai colpi dei manganelli.
I genitori Lino e Patrizia non credono alla versione della prima perizia disposta dai pm, secondo cui Federico sarebbe deceduto a causa di un malore e perché in overdose. Per questo decidono di aprire un blog per chiedere giustizia, e pubblicano la foto del figlio che giace in una pozza di sangue. Da lì inizia la loro battaglia che porterà all’iscrizione nel registro degli indagati dei quattro poliziotti ai quali Federico quella notte chiedeva aiuto, come hanno riferito alcuni testimoni chiave. Gli agenti verranno poi condannati in primo grado a tre anni e sei messi per eccesso colposo nell’omicidio del ragazzo.
Filippo Vendemmiati ha deciso di ricostruire la vicenda di Federico dalla quale emergono il lato oscuro della giustizia e dell’informazione nel nostro paese. “Mi ha colpito la solitudine del cittadino dinanzi alle ingiustizie, specie se sono causate dalle forze dello Stato. Lino e Patrizia, però, hanno avuto il coraggio di andare avanti e di violentare la propria privacy, pubblicando in Rete le foto del corpo dilaniato di Federico. Lo hanno fatto per restituirgli dignità e verità, senza lacrime e plastici in tv. La loro battaglia civile ha ottenuto, per ora, una verità parziale”. La famiglia Aldrovandi ha infatti ricevuto un risarcimento di due milioni di euro da parte dello Stato e, oltre ai quattro agenti condannati in primo grado, altri tre poliziotti sono stati ritenuti colpevoli di omissione di atti d’ufficio. La sentenza ora dovrà essere confermata al prossimo appello del 17 maggio.
Tra i responsabili della solitudine della famiglia Aldrovandi, secondo il regista, c’è anche la stampa, a partire da quella locale. I due genitori avevano ripetutamente cercato di fare convergere l’attenzione dei media locali sulla morte del figlio, senza risultati. Fino a che non hanno deciso di aprire il blog. “La richiesta di giustizia nasce da lì, mentre la stampa continua a ignorare il caso”, prosegue Vendemmiati. “Nel 2006 i social media non erano così diffusi, ma non c’era altro modo per chiedere la verità su quei lividi. Solo il processo mediatico e l’informazione su Internet hanno consentito di dare visibilità al caso”.
Il documentario lascia emergere anche molte ombre sugli abitanti di Ferrara: da una parte sono state indette manifestazioni per Federico e le istituzioni locali hanno fornito il loro appoggio, dall’altra i cittadini non hanno parlato. Ha prevalso l’omertà, il silenzio, ad eccezione di una sola testimonianza: è quella di Ann Marie, una donna camerunense che all’epoca dei fatti era in attesa del permesso di soggiorno e oggi è cittadina italiana. Visto che non aveva ancora i documenti, era quella che rischiava di più. Eppure ha deciso di testimoniare ed è stata determinante: è stata lei infatti a riferire che Federico era steso a terra mentre i poliziotti lo bastonavano con i manganelli. “Oggi Ferrara ha fatto i conti con sé stessa e ha affrontato i suoi silenzi”, aggiunge Vendemmiati, “ ma la vergogna più grande è che, nonostante la sentenza di primo grado, i quattro poliziotti non siano mai stati sospesi. Sono solo stati trasferiti, mai sospesi dal servizio d’ordine”.
E’ stato morto un ragazzo ricostruisce anche le imbarazzanti intercettazioni tra polizia e carabinieri, che decidono di avvisare i genitori con cinque ore di ritardo e lasciano il corpo al sole, senza vita e scoperto. Spiegano di averlo “bastonato di brutto” e che, dove giace senza vita Federico, “ci vorrebbe della benzina” per fare sparire tutto. Parole che pesano sull’immagine delle istituzioni che, tuttavia, proseguono la battaglia contro la famiglia Aldrovandi: “Oggi Patrizia e tre giornalisti della Nuova Ferrara sono stati querelati per avere dichiarato, come è stato poi dimostrato, che il primo pm Emanuela Guerra ha lasciato un vuoto nelle indagini. La Guerra ha chiesto 1,5 milioni di euro di risarcimento a una madre che ha perso un figlio e tuttora sta lottando contro l’ingiustizia”.
Il documentario fa luce sulle tappe del processo e sul coraggio di Lino e Patrizia che lotteranno anche contro questa querela. E che ora accompagnano Vendemmiati alle presentazioni del film. “Lo hanno visto per la prima volta allo scorso Festival di Venezia – conclude il regista – e alla fine ci siamo abbracciati. Devo ringraziarli per il loro coraggio”. E a maggio il riconoscimento del Donatello li porterà davanti al Presidente della Repubblica, perché il ricordo e la voce di Federico prevalgano ancora una volta sul silenzio.