Alla sbarra nell’aula bunker delle Vallette, il carcere di Torino. Come i terroristi negli anni Ottanta, quelli delle Brigate Rosse e di Prima Linea, o come i membri del clan dei Catanesi o gli ‘ndranghetisti negli anni Novanta. Ieri, in quello stanzone, davanti al giudice Alessandra Danieli, ci sono finiti due sindaci “No-Tav” della Val di Susa, Simona Pognant, all’epoca dei fatti primo cittadino di Borgone, e Mauro Russo, sindaco di Chianocco, accusati di lesioni a due agenti di polizia nel dicembre 2005, nel periodo “caldo” del movimento. Una situazione che sembra ormai lontana, ma che potrebbe riesplodere tra maggio e giugno con l’inizio dei lavori in valle. Proprio per evitare grosse proteste il tribunale di Torino ha stabilito di tenere lontano dal centro cittadino, in un luogo iperprotetto, la prima udienza di questo processo.
Il blocco della Val di Susa – Il mattino del 6 dicembre 2005, dopo una notte passata a sgomberare il presidio No Tav al cantiere di Venaus per la linea ad alta velocità tra Torino e Lione, gli agenti di polizia cercano di tornare in città, ma vengono bloccati a Bussoleno da una barriera composta da cassonetti e reti metalliche costruita dai circa 300 manifestanti. Dopo una mediazione della Digos, parte un lancio di palle di neve, sassi, sacchi della spazzatura e altro. Gli agenti si schierano, fanno una carica leggera e poi arretrano. In quel momento intervengono i sindaci e gli amministratori della Val di Susa, molti dei quali presenti in aula a sostegno dei colleghi imputati. Vogliono che la polizia passi per altre vie, ma entrano in contatto diretto col cordone e la situazione peggiora. In quegli istanti, per il pm Patrizia Caputo, Pognant ha spinto sul fianco un poliziotto, Francesco De Rosa, parte civile al processo, mentre Russo ha dato una gomitata sul casco di un altro agente, Marco Avola, anche lui parte civile. Secondo la ricostruzione, il sindaco di Chianocco stava respingendo l’agente e nella foga la sua spinta è diventata una gomitata capace di rompere “l’apice delle ossa nasali”, nonostante il casco del poliziotto.
La difesa, rappresentata dall’avvocato Roberto Lamacchia, non crede che ciò sia possibile. Per l’ex presidente della comunità montana della Val di Susa Antonio Ferrentino resta una sorpresa che si sia andati a processo: “Noi sindaci e amministratori facevamo da cuscinetto tra il movimento e le forze dell’ordine per evitare episodi violenti. Botte ne abbiamo prese anche noi, ma proprio per la collaborazione con gli agenti abbiamo pensato di abbassare i toni”. Nonostante ciò si dice “assolutamente certo che le accuse contro i colleghi cadranno”. E lo sono anche loro, Pognant e Russo, che hanno preferito non risarcire le parti lese in cambio del ritiro della querela, così da fare chiarezza fino in fondo.
Una questione di ordine pubblico – La competenza territoriale spetta al tribunale di Susa, ma le sue aule non sono abbastanza grandi per contenere il pubblico e tenere lontani i contestatori. E non lo sono neanche le aule del palazzo di giustizia torinese, quelle dei maxiprocessi Eternit e ThyssenKrupp, al punto che il presidente del tribunale Luciano Panzani ha chiesto di svolgerlo nel bunker: “In passato ci sono state manifestazioni No Tav molto nutrite, per cui abbiamo deciso di fare il processo in quest’aula appena rinnovata”, spiega a ilfattoquotidiano.it. Ecco allora che torna utile uno spazio inutilizzato da dieci anni, se non per girare le scene di alcuni film, come Il Divo, per un paio di concorsi a procuratore e per il riconteggio delle schede delle elezioni regionali 2010: “Doveva essere usato già prima per un altro processo e in futuro sarà usato ancora per grandi procedimenti. Se Thyssen iniziasse oggi lo terremmo nell’aula bunker”, aggiunge il presidente del Tribunale.
“L’idea di mettere due sindaci in un bunker, come se fossero dei mafiosi, è un accostamento infelice”, afferma il sindaco di Venaus Nilo Durbiano. Per Ferrentino, l’aula scelta “è un luogo simbolo troppo carico di significati”, mentre per l’attuale presidente comunità montana della Val di Susa Sandro Plano è semplicemente “un’esagerazione”. “Non c’entra nulla – ribatte Panzani –. Non credo che all’epoca il presidente del Tribunale andasse a parlare con gli imputati come ho fatto io oggi”.