Il processo breve non piace nemmeno ai vescovi. Dopo la bocciatura di opposizioni, magistrati, parenti delle vittime di Viareggio e dell’Aquila, il quotidiano della Cei Avvenire critica la norma approvata ieri dalla Camera per abbreviare la prescrizione agli incensurati nei processi di primo grado. “Al di là delle partigianerie – si legge in un editoriale a firma Danilo Paolini – i nodi della giustizia non saranno sciolti”. Perché come tali “non vanno intese le urgenze del presidente del Consiglio di risolvere i propri guai con taluni magistrati di Milano e la costanza (non priva di forzature procedurali, né, talvolta, perfino di venature d’astio) con la quale questi ultimi lo incalzano ormai da quasi vent’anni, bensì proprio la lentezza dei processi civili e penali”.
Secondo il quotidiano dei vescovi, più che chiedersi a che cosa servirà la nuova norma, “sarebbe meglio chiedersi a che cosa non servirà questa legge, per convenzione e sintesi giornalistica definita ‘sul processo breve’. E la risposta è che purtroppo non servirà ad abbreviare i tempi dei processi. Come tutti i testi analoghi da cui è stata preceduta, potrà soltanto prendere atto, di volta in volta, di un fallimento: quello di uno stato che non riesce a garantire una sentenza definitiva in tempi ragionevoli. Ma questa è la radiografia del male, non la cura”.