È stato preso di mira dai lavoratori con decine di monetine l’amministratore delegato della Verlicchi, Valdemaro Peviani questa mattina all’uscita dall’udienza per l’istanza di fallimento dell’azienda di Zola Predosa nel corso della quale la proprietà ha presentato una richiesta di concordato, bocciata poche ore dopo dalla Camera di Consiglio.

Grida, insulti e monete è quello che è arrivato addosso a Peviani 75 anni e già indagato per associazione per delinquere finalizzata alla truffa, che per salvarsi dal corteo dei lavoratori improvvisatosi davanti a palazzo Pizzardi ha dovuto riparare insieme al suo avvocato in una macchina dei carabinieri.

Hanno espresso così la loro rabbia i lavoratori, da diversi mesi senza stipendio, che dovranno attendere ancora per sapere le loro sorti lavorative e che continueranno a presidiare lo stabilimento Verlicchi come stanno facendo ormai da più di un mese. “Non lo avevamo mai visto in faccia – ha detto Cesare Evangelisti portavoce dei lavoratori in presidio – da quando, nel febbraio scorso, Alessandro Verlicchi aveva venduto l’azienda”.

Il Tribunale di Bologna ha accettato l’istanza di fallimento presentata dai lavoratori, che sperano di recuperare  una cifra che si aggira attorno ai 750mila euro per tre mesi di stipendio, tredicesime, premi e contributi non versati. La Camera di Consiglio del Tribunale di Bologna, presieduta dal giudice Giuseppe Colonna, ha così respinto la richiesta di concordato presentata dalla proprietà difesa dall’avvocato Silvia Carradini del foro di Pisa, e ha incaricato Fausto Maroncelli come curatore fallimentare. A poche ore dalla sua nomina, Maroncelli ha espresso la volontà di ripristinare, già nei prossimi giorni, la produzione, provvedendo a riallaccaiare la corrente elettrica nello stabilimento.

In parte soddisfatti i sindacati. “Ora inizia la partita – ha dichiarato Nicola Patelli, di Fiom Cgil – a questo punto se il curatore fallimentare è disponibile, si può firmare la cassa integrazione già il 20 aprile”. Ma aggiunge anche: “Non dimentichiamoci che parliamo sempre di un’azienda fallita”.

I contenuti del concordato sono rimasti in parte oscuri anche agli avvocati della controparte, di certo però c’è che la proprietà ha chiesto il dissequestro dell’azienda, attualmente sotto la custodia del sindaco di Zola Predosa Stefano Fiorini come deciso il 31 marzo scorso dal giudice titolare Manuela Velotti. “E’ stato richiesto il dissequestro – ha spiegato Bruno Laudi, avvocato dei sindacati – con la motivazione di poter accedere alla documentazione fiscale attualmente conservata all’interno degli uffici di Zola”. Tuttavia secondo sindacati e lavoratori “è facile pensare che il dissequestro comporterebbe – dice Patelli di Fiom Cgil – anche lo spostamento altrove dei macchinari già in parte smontati nella notte dell’11 marzo scorso. Hanno detto che vogliono prelevare il server, ma i lavoratori staranno sui cancelli per impedirlo”.

Pochissime le parole di Peviani all’uscita dall’udienza e prima di essere investito dalla rabbia dei lavoratori. L’ad ha infatti rifiutato di rispondere alle domande della stampa e si è limitato a dire: “abbiamo fede in una ripresa”, prima di chiudersi in un “no comment”. “Con il concordato – ha aggiunto l’avvocato della Verlicchi, Carradini prima che la Camera di Consiglio si pronunciasse – i lavoratori potrebbero ottenere prima i crediti maturati dagli stipendi non versati”.

Un’altra vendita. era tuttavia difficile, almeno per i lavoratori, immaginare una reale volontà di ripresa da parte dell’azienda, visto che è di un paio di giorni fa la notizia che le quote della Verlicchi di Casoli, che continua a produrre con ottimi fatturati, sono state cedute l’11 marzo scorso dalla Jbf a Industrie Toscane, il cui ad è Carlo Caponi, padre del Riccardo Caponi, patron del Gruppo omonimo. E come già è successo in questa vicenda dei punti oscuri sembrano esserci. “Non è stato comunicato – ha spiegato in proposito l’avvocato Laudi – a quanto ammontano queste quote di vendita, né è stato prodotto il contratto di cessione”

Caponi, il titolare oscuro. Ed eccolo rispuntare dunque il nome di Caponi in una storia già piuttosto intricata e sulla quale esiste già in Procura un esposto presentato dai sindacati dove si ipotizzano la sostituzione di persona e la truffa aggravata ai danni dei lavoratori. Una vicenda quella della Verlicchi, che in due anni è ha visto scendere il suo fatturano da 44 milioni di euro a 8milioni, e che secondo indiscrezioni ha un debito che ammonterebbe tra i 15 e i 20 milioni di euro, da due mesi a questa parte sta vedendo, che si è complicata negli ultimi due mesi in seguito alla sua vendita da parte del vecchio proprietario.

Azienda venduta a 1 euro. Nel febbraio scorso infatti in brevissimo tempo Alessandro Verlicchi, il vecchio proprietario, aveva acquisito le quote della sorelle e poi aveva ceduto il 100% dell’azienda al costo di 1 euro alla polisportiva di basket femminile senza giocatrici e senza capitale sociale Jbf di Pontedera, il cui ad è Mariano Bertelli, già condannato per bancarotta a Firenze nel 2001, il cui nome è stato associato al ministro Paolo Romani con il quale Bertelli aveva sicuramente ottimi rapporti fino a qualche anno fa. Ai tempi dell’emittente televisiva Lombardia 7 di cui il ministro è stato proprietario e animatore, nel febbraio 2001 si fece rappresentare all’assemblea sociale della la concessionaria di pubblicità della rete stessa, Lombardia Pubblicità, proprio da Bertelli.

Amici del ministro Romani. A sua volta la Jbf risulta legata anche se non formalmente al Gruppo Caponi, a dimostrarlo diversi episodi. Innanzitutto il trasferimento dell’ufficio personale della Verlicchi Bologna presso la controllata del Gruppo Tecnocontrol Pontedera, il cui ad è Massimo Stella, coinvolto nell’inchiesta sulla frode Eminflex nel 2002, e più volte mandato a rappresentare la proprietà della Verlicchi nel corso di trattative sindacali e incontri con le istituzioni cittadine e provinciali. Inoltre gli operai che l’11 marzo scorso avrebbero smontato i macchinari dell’azienda di Zola Predosa e tentato di prelevarli dissero di essere stati mandati proprio da Caponi.

Provarono a portare via i macchinari. Il tentativo di prelevare i macchinari dalla Verlicchi per portarli in Toscana è stato l’evento scatenante che ha acceso i lavoratori dell’azienda, da diversi mesi senza stipendio, la cui cassa integrazione era scaduta il 7 marzo e che avevano più volte accettato di continuare a produrre con la promessa, vana, che sarebbero stati pagati. Dal 12 marzo scorso infatti gli operai presidiano l’azienda attraverso un’assemblea permanente e controllano ingressi e cancelli notte e giorno per impedire nuovi tentativi da parte di Caponi di sottrarre le strumentazioni per la produzione.

L’inchiesta della Procura. Con l’obiettivo di vederci chiaro all’interno di questo intreccio nebuloso, la Fiom-Cgil e la Fim-Cisl hanno presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Bologna con il quale si ipotizza, oltre la truffa aggravata ai danni dei lavoratori ai quali era stato più volte promessa la ripresa dei pagamenti, anche la sostituzione di persona. Il dubbio che sorse ai sindacati era quello che probabilmente “l’acquirente, ossia la polisportiva, stesse facendo fallire l’azienda – aveva spiegato Patelli – per rivenderla a se stesso, visto che tutti gli attori intervenuti avevano trattato per Verlicchi pur non avendone alcun titolo, mentre non avevamo mai avuto contatti con i rappresentati di Jbf”.

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