“Roma – La polizia municipale ha arrestato il sindaco Alemanno che protestava senza autorizzazione contro le scelte economiche del governo. Il sindaco è stato trattenuto in cella per 6 ore e poi rilasciato per una cauzione di 50 euro”. Questo potrebbe essere l’equivalente lancio d’agenzia italiano, se il fatto fosse successo a Roma. Invece è successo a Washington, Distretto di Columbia, il sindaco della capitale statunitense si chiama Vincent Gray, e la cauzione (per lui e altri sei consiglieri comunali) è ammontata a 50 dollari. Per il resto, è tutto uguale al mio lancio di fantasia.
L’episodio, indubbiamente inusuale, ha dato il destro alla peggior stampa italiana per chiedersi se gli Usa siano ancora un Paese libero, o se non siano come la Cina. I colleghi del Giornale hanno perso l’usuale occasione per tacere, perché semmai l’arresto del sindaco di Washington da parte della sua stessa polizia è un archetipo del concetto (assai oscuro in chi vota per Berlusconi) “la legge è uguale per tutti”. Che tu sia l’ultimo dei cittadini o il primo, se organizzi con qualche decina di amici e militanti il blocco di una strada fondamentale senza autorizzazione, la polizia prima ti chiede di sgomberare, poi ti preleva di peso e ti arresta e tanti saluti a te, alla tua carica di sindaco, al numero delle tue ville di proprietà, e ai tuoi eventuali legami di parentela con ipotetiche nipoti di Mubarak.
Vincent Gray infatti, per protestare contro uno dei tanti “do ut des” a cui è stato costretto Obama dalla nuova coabitazione con il Congresso repubblicano, aveva marciato su Capitol Hill assieme a sei consiglieri municipali e qualche decina di suoi sostenitori, occupando Constitution Avenue, giusto davanti all’Hart Office Building del Senato. Il sindaco aveva dunque bloccato un’arteria fondamentale del centro città, per di più nel cuore della “zona rossa” più vigilata del mondo, essendo a due passi dalla Casa Bianca e dal Congresso degli Usa. Il tutto come conseguenza della promessa che Obama aveva dovuto fare a John Boehner, presidente repubblicano della Camera, di tagliare il fondo per l’aborto di Washington in cambio della rinuncia alla riduzione dei fondi federali per la pianificazione famigliare.
In realtà la mossa del sindaco Gray va letta con gli occhiali di chi sa bene come creare un evento politico-mediatico. Il primo cittadino ha infatti sfruttato abilmente le sue sei ore di carcere comunicando col resto della rete via Twitter, e poi in una conferenza stampa molto seguita, ribadendo uno dei punti nodali della sua campagna politica: il problema della quasi inesistente autonomia della capitale statunitense. La città di Washington è ancora, parzialmente, l’unico caso statunitense di “taxation without representation” (tassazione senza rappresentanza politica) dal momento che sindaco e consiglieri comunali sono elettivi solo dal 1973, ma che diverse leggi del Comune – tra cui quella di Bilancio – devono essere approvate dal Congresso, o devono evitare il suo veto, per avere efficacia.
A questo bisogna aggiungere che gli abitanti del Distretto di Columbia non hanno ancora la possibilità di eleggere i loro due senatori al Senato americano, come invece fanno i cittadini di qualunque altra contea americana, e che dispongono solo di un osservatore non elettivo al Congresso, che però non ha potere di voto in Parlamento. Anche gli abitanti di Puerto Rico e Guam non hanno rappresentanza al Congresso americano, ma almeno non sono soggetti alla fiscalità federale.
Il sindaco Gray riassume il tutto con il vecchio slogan che segnò l’epoca della guerra d’indipendenza dall’Inghilterra: “No taxation without representation”, e con queste sei ore in galera ha senza dubbio aggiunto un tassello fondamentale al suo canestro.