Dietro una apparente unità i maggiorenti azzurri si danno battaglia per spartirsi quel che resta del partito. Il Cavaliere intanto vuole portare a casa entro l'estate il processo breve e la legge bavaglio
Ieri è stata l’ultima notte romana dei lunghi coltelli berlusconiani. Al “Valentino”, ristorante “upperclass” del cuore della Capitale, si è consumata l’ultima cena complottarda dei colonnelli pidiellini. Maestri di cerimonia Maurizio Gasparri e Fabrizio Cicchitto, quei capigruppo che sono poche ore prima avevano assistito alla scenata di Silvio davanti alla velata (ma neppure troppo) minaccia del Quirinale di bloccare – nei modi consoni – il tragitto del processo breve. Ricavandone una sensazione assai sgradevole. La situazione, è di tutta evidenza, sta sfuggendo di mano. Claudio Scajola, solo due sere prima, era riuscito a metterne a tavola ben 57 di parlamentari pidiellini, cosi come Altero Matteoli , deciso a mettere un freno alle intemerate del Capo su un futuro del Pdl a guida Angelino Alfano. Epperò intorno ai tavoli del “Valentino” ieri sera c’erano tutti, per darsi una linea di compostezza ed evitare che la frantumazione del partito finisca per provocare danni – a quel punto irreparabili – sul fronte elettorale delle amministrative incombenti. La vittoria al comune di Milano diventa sempre più sfuggente e l’altro fronte caldo, quello di Napoli, non è da meno: “Se non vogliamo indebolirci – ha arringato ieri sera Gasparri – dobbiamo restare uniti”. Andando verso un congresso che Maurizio Lupi ha indicato “per i primi mesi del 2013”, ma è indubbio che è una data davvero troppo lontana per farci i conti seriamente. Però, adesso, si stringono le fila, ma è solo un abbaglio, un salvare l’apparenza che non copre la sostanza; i maggiorenti pidiellini, i capi corrente di un partito che ormai non c’è più stanno aspettando solo il momento giusto per canibbalizzare al meglio quel che resta di Silvio. E del ventennio a colori.
La cronaca di queste ore, d’altra parte, scandisce impietosa come il nervosismo e l’iper attivismo berlusconiano non siano altro che segnali di una debolezza politica ogni giorno più grave. Ieri, l’unica cosa che Berlusconi è riuscito a dire dopo un siluro pesantissimo lanciato dal Quirinale sul processo breve, è stata di rilanciare la legge sulle intercettazioni che Napolitano vede come fumo negli occhi. E questo solo per far vedere di essere più forte e più determinato di quanto lo sia Napolitano nel cercare di salvare dall’oblio alcuni dei processi più dolorosi degli ultimi anni. Un rilancio continuo che non potrà che portare ad un prossimo scontro istituzionale dalle conseguenze che ora è difficile immaginare, visto che non esistono precedenti. Si sa che Berlusconi non ha alcuna intenzione di mollare e che prima dell’estate vuole portare a casa non solo il processo breve, “anche a costo di rimandare al Quirinale la legge non firmata la prima volta cambiando solo una virgola” (e obbligando così il Colle alla firma), ma anche le intercettazioni.
Sono state le ultime rivelazioni delle nuove, giovanissime adepte al bunga bunga arcoriano a convincere il Cavaliere a dare uno stop alla pubblicazione di continue rivelazioni che, comunque, hanno ormai ridotto la sua immagine ad un colabrodo. E’ bene ricordare che oltre al ddl intercettazioni, fermo ormai da un anno in commissione Giustizia della Camera, affossato in tempi non sospetti da Giulia Bongiorno, ne esiste un altro al Senato, composto da soli tre articoli, che rende ancora più severe le norme per l’utilizzazione degli ascolti, da parte dei magistrati, nelle indagini. Nel Pdl non si mettono “limiti alla provvidenza” quando si parla di leggi che favoriscono il Capo, ma è bene aspettarsi qualche sorpresa sul fronte delle intercettazioni alla Camera; essendo già stato approvato dal Senato, il ddl potrebbe essere calendarizzato già nella prossima conferenza dei capigruppo. Con la maggioranza blindata che si è palesata sul processo breve, anche le intercettazioni diventerebbero legge definitiva in un battito d’ali. Un pericolo che il Quirinale ha ben presente. E visto il crescendo rossiniano delle prove di forza, non è da escludere che il Capo dello Stato, preoccupato di una situazione politica complessiva ormai allo sbando, non decida alla fine di intervenire. Anche con un gesto clamoroso.