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Perché Habemus Papam è il miglior film di Moretti

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E’ un film di Moretti, ma Nanni attore c’è e non c’è: in altre parole, stavolta si sposta e ci fa vedere il film. Un esempio, vi ricordate il Caimano? Nel finale, Nanni non resisteva e si sostituiva a Elio De Capitani nei panni di Berlusconi: qui, viceversa, “non ho mai pensato di poter interpretare io il Papa”, affidato viceversa a un grandissimo Michel Piccoli, che rifiuta la ragion di Stato e si fa elegia della vecchiaia, dell’umano troppo umano.

Perché è il sequel del Caimano, ma giocato tre metri sopra il cielo della cronaca spiccia, del verbatim rubato al Palazzo e, anche, della fantapolitica che pure si trasforma in realtà (vedi appunto Il Caimano). Habemus Papam è un film politico, ma nell’accezione più alta, più “nascosta” del termine: il Papa oltre il Caimano, la consapevolezza dolorosa ma “fedele” dell’inadeguatezza opposta alla vergogna della poltrona fatta protesi. E non vale solo per San Pietro, ma per qualsiasi agorà: questo è un film Urbi et Orbi, che pesca dalla Chiesa la possibilità di un salvifico vuoto di potere ma guarda a ogni istituzione, a ogni potere temporale. Problema: chi tra i nostri politici lascerebbe per auto-sospetto di inadeguatezza? In altre parole, Gesù o Barabba? Sappiamo come è finita, Moretti ce lo ricorda.

Perché ci sono tutti i tic di Moretti, ma il film non ne soffre, anzi, gioisce: griglie per il torneo di pallavolo dei porporati da far rispettare scrupolosamente, cappuccini tiepidi con poca schiuma, bombe alla crema, spremute d’arancia, di tutto e di Nanni, ma salutare e leggero come un bicchiere d’acqua fresca…

Perché è un film (forse) senza fede, ma ci crede: lo psicanalista Moretti lo dice esplicitamente: “Non credo”, ma il Moretti regista mostra un quasi Papa che crede (“Ha problemi con la fede? No”) e dei Cardinali che credono e che – è una commedia (umana) – confessano all’unisono la propria riluttanza a farsi Pastori. In altre parole, Nanni dà immagini e suoni al dettato di Voltaire: “Non sono d’accordo con te, ma darei la vita per consentirti di esprimere le tue idee”. E la sua vita, almeno quella artistica e pubblica, è il cinema.

E’ cinema puro, il film a più alto tasso cinematografico di Moretti: movimenti di macchina ambiziosi, una direzione d’attori che evangelicamente fa degli ultimi (per pose) i primi (i cardinali Renato Scarpa, Franco Graziosi, Camillo Milli, Roberto Nobile, Ulrich Von Dobschutz meritano almeno un David collettivo) e una regia totale, che mixa humour e riflessione, dubbio ed esistenza, singolo e collettività, libero arbitrio e istituzione, Vita e Sistema. Oltre la fede e oltre la psicanalisi, Moretti professa un eterodosso darwinismo: l’evoluzione della (nostra) specie è l’astensione dal potere. Da far impallidire qualsiasi decrescita.

E’ il film di un Autore che ha messo la testa a posto. Lasciati nel fuoricampo vezzi, frizzi e narcisismi, rimane il Moretti autarchico per immagini e suoni, capace di dare carta Bianca al nostro immaginario, con un’idea inaudita: un Papa non ancora Papa, una non presa del potere che metterebbe d’accordo Fellini e Rossellini per una superba sintesi del nostro cinema.

Si ride, e si sorride, di un’ironia che mai deturpa il paesaggio antropologico, che fa spirito con Spirito, che fa professione di fede nel riempimento creativo e poetico di quel “deficit d’accudimento” che Moretti e Margherita Buy vogliono per refrain.

Habemus Spem: da Malick ai Dardenne, a Cannes sarà dura per la Palma, ma con questo Moretti è lecito avere Sogni d’oro.

Perché di commedie ormai ne faremmo a meno, ma Moretti ha voluto e fatto “una commedia” da strapazzare il cinemino tricolore. Ride bene chi ride ultimo: lui.

Surplus d’accadimento: Habemus Papam.

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