Dopo 96 udienze, la Corte d'Assise di Torino si pronuncerà sulla strage dove, il 6 dicembre 2007, morirono in un rogo sette operai. I capi d'imputazione per i vertici dell'azienda vanno dall'omicidio volontario con dolo eventuale all'omissione dolosa di cautele antinfortunistiche
Nel silenzio di una Torino che sembra aver dimenticato quella tragedia, i giudici della Corte d’assise, presieduta da Maria Iannibelli, si pronunceranno nel processo contro i sei imputati di omicidio volontario con dolo eventuale, omicidio colposo con colpa cosciente e omissione dolosa di cautele antinfortunistiche. E’ la prima volta che in Italia si va a processo con delle accuse così gravi per degli incidenti sul lavoro.
Per il primo capo d’imputazione il procuratore aggiunto Raffaele Guariniello e i sostituti Laura Longo e Francesca Traverso hanno chiesto una condanna a sedici anni per l’amministratore delegato della Thyssenkrupp Harald Espenhanh, mentre 13 anni sono stati chiesti per Gerald Prigneitz, Marco Pucci, Giuseppe Salerno e Cosimo Cafueri, accusati di omicidio colposo con colpa cosciente e omissione dolosa di cautele antinfortunistiche. Stessi capi di imputazione per Daniele Moroni, per cui è stata chiesta una pena di 9 anni.
Ansia, tic nervosi, gesti rituali come l’andare al cimitero tutti i giorni e venire in udienza tutte le settimane, ripetendo altri gesti: la maglietta nera con il volto delle vittime, le foto dei cari disposte in fila sui banchi. E la rabbia che spesso sfociava in commenti ad alta voce, con il presidente Iannibielli costretta a calmare e, a volte, ad allontanare dalla maxiaula 2 del palazzo di giustizia. “Ho perso il conto delle udienze seguite – dice Rosa Santino, madre di Bruno Santino, deceduto a 26 anni – ma andremo avanti fino alla fine”. Sempre presenti, con i loro sentimenti e i loro riti: “Le nostre giornate passano così. Tutti i giorni vado a trovare mio figlio al cimitero, quando c’è il processo vengo all’udienza”. Un lutto che non passa. “Siamo agitati perché non sappiamo come andrà a finire, però conosciamo quello di cui sono capaci quelle persone”, dice il marito Antonio Santino, l’uomo in prima fila con in mano la pagina della Stampa dal titolo “Thyssen Spoon River” al corteo dopo l’incendio. Poi precisa: “Abbiamo paura che gli imputati corrompano”. La stessa impressione ce l’ha Concetta Rodinò, sorella di Rosario Rodinò, anche lui morto a 26 anni: “Abbiamo fiducia nella giustizia. Però c’è un’incertezza. Siamo in Italia e c’è un certo malcostume. D’altronde loro hanno portato dei testimoni falsi, noi la prova che sette persone sono sotterrate in un cimitero”. Si riferisce ad alcuni testimoni della difesa indagati dalla procura di Torino per falsa testimonianza. La loro posizione si aggraverebbe in caso di condanna. “Lo Stato deve dare la prova che vuole fare qualcosa contro le morti sul lavoro, non solo sanzioni, ma il carcere”, conclude.
Tra giudici e avvocati si dice che il loro tormento non si è placato anche per le difficoltà nel seguire un processo in corte d’assise: “Ascoltare certe frasi dei difensori fa venire il voltastomaco – dice Rosa Santino –. È dura rivivere ciò che è successo il 6 dicembre, una tortura giorno per giorno”. Il marito incalza: “ Abbiamo avuto la tensione sempre addosso nel sentire tutte le cazzate pronunciate per tirare fuori dai guai persone che hanno sbagliato. Questa gente sapeva che lo stabilimento era marcio e non ha fatto nulla perché era un limone da spremere”. “È uno sfinimento davvero devastante sentire le barzellette della difesa – aggiunge Rosina Platì, mamma di Giuseppe De Nasi – Nei momenti più brutti ho rifiutato di sentire l’audio della telefonata e sono sempre uscita dall’aula”. La telefonata di cui parla è quella di Piero Barbetta, l’operaio che chiamò i soccorsi. In sottofondo si sente una voce gridare: “Non voglio morire”. Poi la donna ricorda un’altra frase dolorosa, quella dell’avvocato di Espenhanh, Ezio Audisio quando il 24 febbraio scorso ha detto che la Corte, ritirandosi in camera di consiglio per decidere, “non dovrà tenere conto del dolore, rispettabilissimo, portato in quest’aula”: “Invece dovrebbero farlo – ribatte Platì – perché non sanno che vita stiamo facendo. Hanno bruciato non solo quella di mio figlio, ma anche quella della famiglia”. Mentre spiega i suoi pensieri passa una zia di Antonio Schiavone, deceduto a 36 anni: “Se gli imputati si ritengono innocenti dovevano farsi vedere al processo. Chi è colpevole si nasconde. Vediamo se hanno il coraggio di presentarsi per il verdetto”.
Un pensiero va ai familiari delle vittime della strage di Viareggio, che nei mesi scorsi sono arrivati a Torino per vedere il procedimento in corso. Il rischio che le norme per il processo breve non portino a una sentenza suscita vive reazioni nei parenti delle vittime della ThyssenKrupp: “Speriamo che non succeda, sennò c’è da fare la rivoluzione. Siamo insieme a loro, siamo andati a trovarli e verranno a trovarci”, sostiene Rosa Santino. “Né processo breve né prescrizione – dice Rodinò – Saremo con i parenti delle vittime di Viareggio a protestare”.
I viareggini arriveranno venerdì insieme ad alcuni abitanti di Casale Monferrato, parenti dei morti per l’amianto della Eternit. Loro, insieme a gruppi politici e sindacali minori come i Cub e i Collettivi Comunisti Piemontesi, sembrano gli unici rimasti a ricordare la tragedia. “Siamo in una città operaia dove quasi tutti hanno un parente che lavora in fabbrica. Quei sette ragazzi potevano essere i figli di tutti. Ci aspettavamo più partecipazione”, dichiara Rodinò. Un gruppo di ex operai della ThyssenKrupp Acciai Speciali ha scritto una lettera aperta ai candidati sindaco chiedendo di “prendere una posizione chiara in proposito e di pronunciarsi su questo argomento importante e delicato”. Solo Piero Fassino e il candidato del Nuovo Polo Alberto Musy hanno risposto dimostrandosi disponibili a un incontro. Ma Antonio Boccuzzi, ex dipendente della Thyssen sopravvissuto al rogo e ora deputato del Pd, denuncia la mancanza di operai nelle liste per le amministrative: “Il Pd ha ancora tanti iscritti che provengono dalle fabbriche, in una città che è stata e vuole tornare a essere ‘Capitale del lavoro’ non può mancare un operaio”.