Al Festival del Giornalismo è atterrata la morte. Noi, che di notte montiamo il materiale video raccolto durante i tantissimi eventi della giornata, abbiamo saputo di Vittorio Arrigoni in diretta, da un’agenzia.
Vik è morto da mediattivista, da blogger, da amante della verità: espressioni che qui abbiamo ascoltato e ascolteremo chissà quante volte. Essere ad un Festival del Giornalismo mentre a Gaza si muore proprio di giornalismo non ti fa pensare ad altro. E ti porta a covare due sentimenti molto diversi tra loro: da un lato ti viene da pensare che in fondo sei nel posto e nel momento giusto, che non sei inerte, che non dimenticherai quello che è successo, che non ti farai prendere da analisi superficiali o, peggio ancora, dall’indifferenza. Dall’altro, però, pensi di essere poco più di un fighetto che sta qui a farsi bello mentre c’è chi ha perso la vita per informare, forse senza mai passare da un Festival del Giornalismo, né come relatore, né come ascoltatore.
Vittorio Arrigoni è stato ricordato un po’ dovunque e la sua esperienza ha rappresentato uno snodo per discutere dei processi evolutivi della professione di giornalista. Al terzo giorno si può oramai accertare una verità: i social media sono, nella peggiore delle ipotesi, accettati come strumento di integrazione del giornalismo. Ma paiono oramai, sempre più, insostitubili alleati nella costruzione della notizia e nel reperimento delle fonti. Io stesso, nello scrivervi, ho sott’occhio l’hashtag twitter del Festival, #ijf11 – per leggere gli aggiornamenti prodotti in diretta da chi ha seguito gli eventi.
Se nella giornata di ieri il fil rouge pareva essere il confronto tra l’affidabilità dei media tradizionali e quella del web 2.0, oggi la questione si è spostata sulla velocità del giornalismo. Lucia Annunziata ha illustrato la sua posizione di prima mattina, partecipando a un dibattito sullo slow journalism, sulla necessità dell’approfondimento, sulla ricerca della qualità come bisogno e come implicita vocazione di chi è giornalista. La produzione di una notizia è un lavoro artigianale e un prodotto individuale, figlio del talento e della creatività. Qualsiasi processo industriale, acritico, senza analisi e senza riflessione sarà necessariamente qualcosa di diverso dal giornalismo.
Questo assunto pare valido per il giornalismo d’inchiesta e d’attualità allo stesso modo con cui è un prezioso mantra per i giornalisti sportivi. Alfredo Provenzali, voce storica di Tutto il Calcio Minuto per Minuto, ha raccontato della nobiltà del suo mestiere, nella necessità di parlare lo stesso linguaggio del pubblico, di non concentrarsi su troppi stimoli in contemporanea e, dunque, della responsabilità della narrazione popolare e del ruolo del giornalista, qualsiasi sia il suo ruolo.
La velocità è forse nemica dell’obiettività. Alcuni responsabili delle sezioni online dei principali quotidiani nazionali hanno ammesso di aver ordinato la rimozione in blocco dei commenti giunti al suo giornale dopo l’omicidio di Vittorio Arrigoni. Hanno raccontato di commenti furibondi e fortemente in contraddizione tra loro: dalla critica di sionismo a quella di cospirare in accordo con Hamas, sino a giungere alle teorie che lo volevano spia dei servizi segreti. Questo è il lato negativo, oscuro e forse necessario dell’integrazione tra mezzi tradizionali e nuovi media, tra redazione e utenti, tra giornalismo professionale e racconti individuali e iperlocali.
Una sintesi tra contributi migliorativi dei lettori e gestione dell’irrazionale è ancora lontana dall’essere raggiunta, ma non può che essere sottolineata la grandissima partecipazione a un evento del pomeriggio proprio perché ispirati da necessità progressiste e di integrazione tra risorse. Il seminario, sul fact-checking una nuova e sempre più gradita forma di informazione che analizza le notizie e ne misura la veridicità, è stato accolto con toni trionfalistici soprattutto sul web. In Italia, il Paese in cui l’agenda setting cambia drammaticamente sulla base dell’editore, il fact-checking rappresenterebbe un antidoto necessario ai rischi di autoritarismo.
La serata si è conclusa in un Teatro Morlacchi strapieno per Marco Travaglio. Il giornalismo d’inchiesta e l’analisi delle fonti non possono prescindere dalla lentezza e dal lavoro di cesello, dall’obiettività e dall’imparzialità al limite della freddezza, in cui le tecnologie aiutano se non diventano un’ortodossia alternativa al metodo “classico”. In questo senso bisogna segnalare la presenza dell’Hacker’s corner, una due giorni di formazione sul trasparenza e ricerca delle fonti al servizio del giornalismo, che serve proprio a far da ponte tra culture che ancora oggi si guardano con sospetto.
Il giornalismo sta cambiando e non è una costruzione retorica. Proprio oggi che piangiamo la morte di un blogger, questa frase suona più che mai vera e beffarda.