“Aspetto mio fratello, che deve venire a prendermi. Mi fai compagnia, per favore?”. Idi Ghlissi è un ragazzo tunisino. E’ uno dei 102 profughi giunti a Bologna dal Cie di Santa Maria Capua Vetere ed è l’unico che ha rifiutato di essere ospitato in una struttura a Rimini. “Non ne ho bisogno, -ha detto Idi in arabo alla mediatrice culturale che lo ha accolto – andrò a Modena, a casa di mio fratello”.
Idi non parla per niente italiano, né inglese. Solo arabo, e francese. Per tutto il tempo in cui gli altri migranti venivano fatti salire sugli autobus che li avrebbero condotti nelle varie province dell’Emilia Romagna Idi è stato seduto, in silenzio, con in mano una cartina dell’Emilia Romagna fornitagli dalla protezione civile.
Zaino in spalle, occhiali da vista e barbetta curata. Idi, ventisei anni, viene da Sfax, la città tunisina da dove partono la maggior parte delle barche dirette a Lampedusa. “Sono partito il 26 marzo, 1000 euro per 23 ore di viaggio su una barca da dieci posti ma sui cui c’erano 40 persone – racconta Idi. “Durante la traversata ho avuto paura di non farcela”. Quando ormai il campo allestito dalla protezione civile per smistare i migranti si è svuotato Idi viene accompagnato in stazione, dove aspetterà l’arrivo del fratello”.
“Non lo vedo da anni” – afferma Idi. Durante il viaggio sul furgoncino della protezione civile Idi cerca di chiamarlo, ma ha il cellulare scarico. “Mi presti il tuo – mi chiede – non preoccuparti devono solo prendere il numero dalla mia scheda”. Quando l’operatore della protezione civile ci lascia alla stazione centrale di Bologna Idi mi chiede di non andare via. “Non so dove mi trovo, ho il cellulare scarico e non capisco la vostra lingua”, dice. Non sa l’italiano, ma vuole impararlo in fretta per trovare lavoro e rinnovare il permesso di soggiorno temporaneo di sei mesi.
“Andiamo a prendere un caffè – mi dice – ma fallo chiedere a me per favore”. In tasca Idi ha pochi euro, donategli insieme a zaino, scarpe e qualche vestito dalla protezione civile, ma insiste per offrirmi qualcosa. Mi stai facendo compagnia, e questo vale più di qualche euro, vorrebbe dirmi. “Sono partito perché per la Tunisia è un momento difficile – afferma Idi, che a Sfax lavorava come cameriere in un bar della città, ma ha perso il lavoro durante le rivolte. “L’Italia ha fatto un gran bel gesto con noi tunisini – dice sorridendo – non come Francia e Germania che non vogliono accoglierci”. La seconda vita di Idi inizia alla stazione alle 10.30, dopo un ora di attesa. Parla al telefono con il fratello, che gli annuncia di essere lì. Si gira intorno, senza trovarlo. Quando glielo indico mi restituisce in fretta il telefono, gli corre incontro e si abbracciano, con gli occhi lucidi. “Merci, grazie di tutto”, mi dice. “ E non dimenticarti di aggiungermi su Facebook”, mi urla allontanandosi.