Se l’infrastruttura di connettività italiana è al collasso è tutta [o quasi, ndr] colpa “dell’immensa crescita del traffico video, in particolare di quello peer-to-peer, che è scaricato illegalmente soprattutto dalle generazioni più giovani”.

E’ questa la posizione che Franco Bernabé, ex ad di Telecom Italia, oggi presidente dell’ex monopolista delle telecomunicazioni ha rappresentato nel corso dell’audizione dello scorso sette aprile dinanzi all’ottava commissione del Senato della Repubblica.

Bernabé ha poi aggiunto “Giusto per darvi alcuni riferimenti numerici, sulla nostra rete circa il 70 per cento del traffico è video, di cui il 50 per cento è peer-to-peer e viene fatto da due applicativi, eMule e BitTorrent, che servono esclusivamente per scaricare illegalmente film dalla rete; un’altra componente è rappresentata da YouTube; un’altra, che non vorrei citare, è quella dei video a luci rosse e poi ci sono altri tipi di file video che saturano una quantità rilevantissima della rete. I servizi importanti per il cittadino, quelli della pubblica amministrazione che normalmente utilizzano i cittadini comuni, occupano una quantità irrisoria delle risorse di rete. Pensate che, come dicevo prima, il 70 per cento del traffico è video e all’interno del restante 30 per cento i servizi che noi consideriamo essenziali, che devono essere sviluppati e sui quali garantire la qualità, occupano una frazione minima delle risorse di rete (2-3 per cento)”.

A sentire il presidente di Telecom, dunque, gli italiani che usano la Rete sarebbero tutti – o quasi – pirati ed appassionati del sesso virtuale.

Sarebbe proprio tale situazione, secondo Telecom, a legittimare – ed anzi a rendere indispensabile – il c.d. network management ovvero la gestione selettiva del traffico dati che corre lungo l’infrastruttura di comunicazione di modo che l’accesso a taluni servizi e contenuti sia più agevole e veloce che ad altri con buona pace dell’auspicata net neutrality.

“Il problema del network management” – ha detto Bernabé – “è dunque veramente importante, perché non posso investire e continuare a investire risorse rilevantissime per favorire un’attività tra l’altro prevalentemente illegale, che danneggia enormemente l’industria dei contenuti, che negli ultimi anni ha visto scendere in modo rilevante le proprie capacità di reddito”.

Il network management sarebbe dunque come manna dal cielo: consentirebbe ad un tempo di tutelare la proprietà intellettuale e scongiurare il rischio del collasso della Rete.

Oltre a scariconi ed erotomani, se la Rete italiana sarebbe al collasso e la diffusione della banda larga al di sotto delle aspettative, la colpa andrebbe attribuita anche a Google, Apple e Facebook che Bernabé sembra considerare come pericolosi parassiti che erogando i c.d. servizi over the top si avvantaggerebbero della disponibilità dell’infrastruttura di Telecom senza riconoscerle alcunché.

Ecco quanto riferito dall’ex ad di Telecom sul punto: “Vorrei, a questo punto, attirare l’attenzione su un’altra oggettiva motivazione del ricorso a pratiche cosiddette ragionevoli di network management, cioè la crescita esponenziale del traffico originato dai fornitori di applicazioni e servizi over the top che sta mettendo a rischio la sostenibilità economica di Internet per gli operatori di rete”.

Ed ecco il rimedio proposto da Bernabè per abbattere – o almeno limitare – il digital divide e dare una bella spinta alla domanda di risorse di connettività: utilizzare l’infrastruttura di Telecom [ormai al collasso, ndr] per far entrare nelle case degli italiani, attraverso le connect tv, con internet on board, i soli canali prodotti dalla Rai e/o da Mediaset.

L’idea è semplice e perversa ad un tempo. Si vorrebbe trasformare Internet in una grande TV.

Ma se la televisione di oggi sbarca anche in Rete, che fine farà l’universo degli attuali fornitori di contenuti?

L’accesso ad un contenuto prodotto da Rai o Mediaset sarà davvero raggiungibile senza alcun privilegio rispetto a quello prodotto da un qualsiasi altro utente?

Non resta che stare a guardare.

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