Chissà a quanti di voi, come me, è capitato di scoprire casualmente un disco straordinario, considerato poi assolutamente da non perdere. Per quanto mi riguarda, posso dire con certezza che alcune delle migliori band degli anni Novanta – il periodo della mia adolescenza – sono entrate a far parte della mia discografia in maniera del tutto casuale e, cosa ancor più sorprendente, con largo anticipo rispetto agli appassionati del genere. D’altronde Internet era di là da venire e per avere informazioni specifiche sulle ultime uscite bisognava affidarsi ciecamente a riviste patinate o periodici specializzati.
Nessun critico o spot pubblicitario mi ha donato i Pearl Jam, Nirvana, R.E.M., Pavement, Alice in Chains, Counting Crows o Radiohead, Stone Temple Pilots o Jeff Buckley. Ho ammirato e studiato i loro dischi, gli accordi, i volti, lo stile, gli abiti, in una parola, la loro vita. Con sicurezza posso dire che se li conoscevo non è stata questione di orecchio o di ricerca bensì è stata una vera e propria questione di culo! Del resto, “l’arte ci visita dal mondo delle cose che ancora dobbiamo scoprire. Chi ne afferra un frammento ha in mano un tesoro” (Drigo, Rock Notes).
Uno di questi album che mi sono ritrovato tra le mani e non nascondo la mia grande incredulità è stato Nevermind dei Nirvana un’opera di tre ragazzi del Nord-Ovest americano, che per raccontare le loro frustrazioni e il loro desiderio di rivincita mettono su una band ispirandosi all’heavy metal, al punk e alla psichedelia trovando nella piccola Sub Pop il trampolino di lancio. I lavori all’album iniziano nell’aprile 1990, alla batteria c’è ancora Chad Channing in seguito – nel settembre successivo – rimpiazzato da Dave Grohl.
Butch Vig è ancora sconosciuto al grande pubblico, ma con i Nirvana diventerà fra i più stimati produttori dell’underground americano. Butch cura il particolare, dà un contributo fondamentale agli arrangiamenti rendendoli più definiti. A registrazioni ultimate è fondamentale Andy Wallace già collaboratore degli Slayer (gruppo metal di Los Angeles, che – nonostante l’iniziale diffidenza di Cobain – col suo intervento sul suono, in particolar modo sulla batteria, dona alle canzoni maggiore vivacità e smalto, che a questo punto sono pronte per esser lanciate al grande pubblico. Con lui il disco diventa più equilibrato, la Geffen centra il bersaglio preposto vendendo milioni di copie. E pensare che con Nevermind inizialmente si sperava, magari, di raggiungere le vette toccate dai Sonic Youth! Diventa invece un vero e proprio disco epocale, vince il disco d’oro, ed è talmente importante da far esclamare agli esperti che Nevermind ha diviso la storia del rock in un “prima” e in un “dopo”. Il Grunge diventa un vero e proprio movimento che nasce anche in reazione all’eccessiva presenza di “prodotti” ben confezionati nelle varie charts: Nirvana e Pearl Jam scalzano i gruppi rock da stadio esplosi negli anni Ottanta, quelli dalle capigliature colorate, spesso cotonate o gellate.
Testi profondi e potenti, ma il vero successo di Nevermind sta nel sound. Canzoni come Come as you are, Smells like teen spirit, Something in the Way, Lithium sono dei veri e propri capolavori. L’album supera i 10 milioni di copie vendute (ad oggi secondo Wikipedia ha oltrepassato i 25 milioni) e Kurt Cobain diventa l’idolo di un’intera generazione. La cosiddetta “Generazione X”.
E Voi, credete si sentirà mai un altro brano in grado di inquadrare da solo un’era come Smells like teen spirit?