Il professor Morselli spesso ricostruisce una vita a chi non l'avrebbe più. Donne sfigurate dall'acido perché non volevano prostituirsi, piccoli con malattie congenite: "Ogni volta serve un'equipe di almeno 50 persone volontarie tra infermieri, chirurghi, pediatri, anestesisti, fisioterapisti. E ancora: notai, avvocati, commercialisti, piloti. Prossima missione in Buthan e Uganda
Seimila interventi di chirurgia plastica ricostruttiva, in 22 anni; in Bangladesh, Tibet, Tanzania, Uganda, Zambia, per citare alcuni Paesi. Una dedizione costante. “Stiamo preparando da mesi le missioni in Buthan, per maggio, e in Uganda, a luglio- agosto, e ci servono almeno altri 25 volontari, fra infermiere strumentiste, anestesisti, pediatri, fisioterapisti” racconta Morselli.
“Il nostro gruppo” prosegue il medico, “è composto da una cinquantina di persone, compresi notai, avvocati, fotografi, piloti, commercialisti e amministratori; tutti offrono gratuitamente la propria professionalità. È così che la nostra organizzazione ha funzionato fino ad oggi”.
La prima missione nacque da una richiesta d’aiuto del vescovo di Dhaka, in Bangladesh, dove numerosi bimbi erano affetti da labiopalatoschisi, malattia congenita caratterizzata dall’apertura del palato e del labbro, che causa problemi di masticazione e di fonesi.
“Arrivati là” ricorda Morselli, “ci scontrammo però con una realtà molto più angosciante di quanto avevamo previsto: oltre ai bambini malformati e non trattati, ci colpì la moltitudine di donne sfigurate dalle ustioni da acido solforico, versato loro dalla stessa famiglia, per punirle perché si rifiutavano di prostituirsi o di rispettare il contratto di matrimonio. Lo shador che copriva il volto, con una piccola fessura a livello degli occhi, e la presenza di occhiali, indicavano sempre, in questi casi, uno stato di cecità. Scoprimmo in seguito che, essere donna in Bangladesh da sfigurata, è davvero impossibile, perché si diventa un rifiuto della società senza speranza di lavoro e di vita normale”.
Interethnos Interplast Italy opera i bambini e i pazienti più poveri, trattando malformazioni del volto e delle mani, esiti di ustioni e tumori cutanei. Ma insegna anche ai medici locali le metodologie perché possano poi essere indipendenti. “Abbiamo convocato le chirurgie plastiche delle università di Bologna, Milano, Roma, Catania, Sassari. La nostra giornata di volontariato inizia proprio facendo lezione ai medici locali che ci ospitano, per poi discutere i casi che saranno operati”.
Un aneddoto indimenticabile di questi 22 anni di volontariato? “Ricordo in particolare una bambina in Bolivia che aveva sei dita in entrambi i piedi e per questo non poteva portare le scarpe. Mentre eseguivo l’intervento, ho cercato di immaginare quale potesse essere stata la sua vita, ad esempio, d’inverno, a 2.500 3.000 metri di altezza, senza indossare una calzatura, e doversi fasciare invece i piedi dalla nascita”.
“Nel corso dell’operazione chirurgica le ho così misurato il piede e chiamato una delle nostre infermiere alla quale ho chiesto di andare a comprare un paio di scarpe. A intervento ultimato abbiamo fatto calzare le scarpe alla bimba. Al risveglio lei, che non aveva mai visto le scarpe ai suoi piedi, ha cominciato a piangere e urlare di gioia ‘zapato, zapato’ che vuol dire semplicemente scarpe, scarpe”.