Il Festival del Giornalismo 2011 si è chiuso con l’ovazione dei giovani a un grande del giornalismo italiano: Eugenio Scalfari, che ha raccontato i 150 anni dell’Unità d’Italia in un Teatro Morlacchi ancora una volta gremito. Questa è una delle fotografie più vivide che porteremo a casa dopo cinque giorni, a nostro avviso, bellissimi. A casa portiamo anche i pensieri di chi, qui e sui social media, ci ha ringraziato per aver portato il Festival nelle loro case. Non eravamo mai stati a Perugia ma speriamo che Arianna Ciccone, organizzatrice dell’evento giunto alla sua sesta edizione, ci richiami anche l’anno prossimo per girare le clip che ogni giorno avete visto qui sul Fatto e che ci hanno tenuto a casa tutte le sere (ci siamo persi le mitiche feste dei volontari, che hanno visto anche Beppe Severgnini tra i protagonisti).
Anche la giornata finale ha fatto registrare affluenza da tutto esaurito, code e una sensazione generale di entusiasmo. Ha stupito l’assenza totale di una qualsivoglia forma di gerarchia: giovani e vecchi, star e freelance, italiani e internazionali, politici e giornalisti hanno animato le vie del centro del capoluogo umbro vitale sin dal mattino, ogni giorno.Gli eventi erano seguiti dagli stessi top speaker che magari avevano appena finito di parlare. Vedere Cruciani e Facci alla rassegna stampa del mattino di Zoro e Antonio Sofi pronti a battibeccare, a ridere e a commentare fa piacere, così come fa sorridere il pienone di giornalisti all’evento speciale su Wikileaks.
Insomma, dovremmo lamentarci del fatto che eventi del genere si facciano solo una volta l’anno e che non siano organizzati dai grandi giornali nazionali, da partiti politici o da think-tank piuttosto che sfogare tutte le frustrazioni personali su uno dei pochi, ma caldi, raggi di sole del nostro Paese. Un Paese che, visto con lo sguardo offerto dal Festival del Giornalismo, ha un’opinione pubblica viva, pronta alle sfide del futuro, che non ha paura del cambiamento e che ha grandissimo attaccamento per le sorti del nostro Paese. Il nostro auspicio, come ci ha detto Guido Scorza, è che non ci si limiti a respirare aria buona per cinque giorni l’anno per poi ritornare sulle proprie scrivanie a riprendere con la routine impiegatizia.
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