L’Europa e i suoi confini. Non solo geografici, ma soprattutto economici e sociali. In un periodo di grande dibattito sulle migrazioni, il nuovo libro di Giuseppe Ciulla “Ai confini dell’Impero” (Ed. Jaka Book) può essere un buon navigatore per orientarsi in un territorio dalle frontiere sempre più instabili. L’autore, insieme al fotografo e amico Damiano Meo, percorre cinquemila chilometri “nell’estremo est, nelle zone più distanti geograficamente ed economicamente dal triangolo Francoforte – Milano – Parigi”. Partenza dal capoluogo lombardo, arrivo a Sofia attraverso 14 tappe – tutte raggiunte con l’uso esclusivo dei mezzi pubblici – che segnano altrettanti punti di incontro con un’umanità vastissima: operai e imprenditori, sindacalisti e migranti, mercanti del sesso e vittime delle mercificazioni.
Formalmente i luoghi descritti da Ciulla e fotografati da Meo – il libro contiene un inserto fotografico di 32 pagine – fanno parte dell’Unione europea, ma, il quadro di povertà, emarginazione e sfruttamento che emerge pone, di fatto, queste terre in una zona senza nome, una no man’s land che ha ben poco a che fare con le bandiere che sventolano a Bruxelles.
Lungo il percorso incontriamo le ‘badanti’, “donne di ferro che una volta salite sul pullman perdono la timidezza con cui siamo abituate a vederle nelle case italiane”; operai e sindacalisti nelle fabbriche polacche della Fiat, “pervasi dall’ossessione tutta occidentale della dipendenza dal mercato”; i cosiddetti “salmoni italiani” che “vengono a deporre le uova” a Praga “bella di giorno e porca di notte”, compatrioti tanto noti in Repubblica Ceca per lo sfruttamento della prostituzione. E quanto più ci si allontana dall’Europa “che conta” più il confine si fa “democratico”: non la frontiera con la Russia e l’Ucraina, ma i suoi diritti negati diventano il limes di questa Unione allargata.
Tra Repubblica Ceca e Germania troviamo il turismo sessuale tedesco con i bambini rom: un confine di 140 chilometri oltrepassato da 23 milioni di persone ogni anno. Un fenomeno così preoccupante da essere preso in considerazione dalla Eger, l’unità speciale della polizia ceca nata per contrastare la prostituzione minorile. “La Thailandia è qui – scrive Ciulla -. In Europa, a un’ora e mezzo di volo da Roma, a qualche ora di treno dai palazzi di vetro di Bruxelles”.
Storie di disperazione quelle che l’autore raccoglie nella sua inchiesta. Storie dall’Ungheria, “un transatlantico lanciato verso l’Europa che conta”, uno Stato che “naviga nelle acque serene dei capitali occidentali”, ma non riesce a salvare dal freddo e dalla fame migliaia di senzatetto che abitano le sue panchine. Storie di donne che se non riescono a sfondare nel mercato del porno, finiscono sul marciapiede. Storie da Timisoara, in Romania, “l’ottava provincia veneta, da vent’anni l’America dei ‘paron'”.
E poi il sindacalista perseguitato dai servizi segreti, operai romeni pagati con cosce di pollo e latte in polvere, prostitute bulgare torturate e vendute ai bordelli italiani o francesi, bambini romeni abbandonati in strada, la tratta di minorenni bulgare, ettari ed ettari di terra svenduti a imprenditori occidentali e lasciati incolti.
Il viaggio finisce. “Non aveva lo scopo di giudicare scelte politiche – scrive Ciulla -. Ma di raccontare i paradossi di un’unione che garantiva più diritti. L’impegno è sospeso. I diritti, sono diminuiti a vantaggio di imprese e governi della vecchia Europa”. E ancora: “Le dogane sono saltate. il prezzo è altissimo. Confini e antiche rotte meritavano più rispetto. L’Europa ha preso nel suo ventre storie e miserie promettendo un’era nuova”. Ma questa finora, “è solo una “benedizione mancata”.