Il deputato del Pdl Massimo Maria Berruti non merita la concessione delle “attenuanti generiche”, dati la sua “professione” e gli “incarichi pubblici ricoperti”. Così i giudici della Prima Corte d’Appello di Milano motivano la condanna a due anni e 10 mesi per riciclaggio inflitta al parlamentare, nonché avvocato ed ex militare della Guardia di finanza, lo scorso 24 febbraio nel processo che è uno stralcio del procedimento sui diritti tv Mediaset, che vede a processo tra gli altri Silvio Berlusconi.
Quello concluso il 24 febbraio scorso a carico di Berruti, anche ex consulente Fininvest, è stato un processo d’appello ‘bis’, perché la Cassazione aveva annullato una precedente sentenza di secondo grado, che aveva in parte assolto Berruti e in parte dichiarato prescritto il reato. La Suprema corte aveva stabilito che per un ultimo episodio di riciclaggio contestato al parlamentare e datato 21 novembre ’95 il termine di prescrizione non era ancora scaduto (è maturato il 27 febbraio scorso). La Corte, nel condannare a due anni e dieci mesi Berruti (pena totalmente condonata dall’indulto) ha accolto la richiesta del sostituto Pg, che aveva chiesto che al deputato non venissero riconosciute le attenuanti.
Nelle nove pagine di motivazioni, in giudici osservano che “con riferimento allo stato di incensuratezza” di Berruti (è stato condannato definitivamente a otto mesi per favoreggiamento nel processo sulle presunte tangenti pagate da Fininvest a ufficiali della Gdf), la circostanza “non appare meritevole di essere valutata, riferendosi ad un soggetto per il quale essa rappresenta un requisito minimo, avuto riguardo alla professione da lui svolta ed agli incarichi pubblici ricoperti”. Per il parlamentare Berruti, scrivono i giudici, “lo stato di incensuratezza non ha evidentemente lo stesso valore che può avere per un soggetto cresciuto in un ambiente degradato e sottoposto per tanto a forti spinte a delinquere”.