Più di 100 km di terreni paludosi il cui ecosistema appare danneggiato. Il sistema immunitario di alcune specie ittiche seriamente compromesso. La produzione di alghe marine alterata. Una crosta di petrolio a coprire il fondo marino nell’area attorno al pozzo. E morte, morte ovunque: di comunità coralline, crostacei, tartarughe di mare, delfini. Appare così, nella denuncia di diversi scienziati indipendenti, l’area del Golfo del Messico dove un anno fa si inabissò Deepwater Horizon, il pozzo petrolifero di BP.
“C’è ancora una quantità terribile di petrolio disperso nell’ambiente”, ha detto al Washington Post Ian R. McDonald, un oceanografo della Florida State University che da tempo lavora nel Golfo. Le prospettive, a un anno dal disastro, appaiono del resto molto più incerte rispetto a molte delle analisi, e delle assicurazioni, offerte dalle autorità in questi mesi. Lo scorso novembre la NOAA, l’agenzia del governo federale che si occupa di clima e oceani, aveva assicurato che almeno un quarto del greggio rilasciato era evaporato, o si era dissolto nell’acqua. Un altro 29% circa sarebbe stato vaporizzato in particelle finissime, naturalmente o attraverso il disperdente chimico Corexit 9500, e poi riassorbito attraverso l’azione dei batteri marini. Il 5% del greggio era invece stato bruciato sulla superficie dell’Oceano.
Le stime della NOAA, che il suo direttore Jane Lubchenco ha comunque definito “parziali”, sono state in questi mesi sempre più messe in discussione dagli scienziati che, in modo indipendente, lavorano nell’area del disastro. Samantha Joye, una scienziata della University of Georgia che sta per pubblicare uno studio sugli effetti del petrolio su flora e fauna del Golfo, spiega che greggio e gas naturale “si dissolvono in modo molto più lento” rispetto a quanto affermato dal governo americano. Gli sforzi per “scremare” il petrolio si sono poi dimostrati “inefficaci” (lo ha spiegato la stessa Guardia Costiera della Louisiana). E molti segnalano che i disperdenti chimici, se hanno aiutato a combattere il greggio, si sono dimostrati altrettanto tossici e nocivi per la vita di piante e animali.
Il vero punto interrogativo riguarda però il petrolio residuo (negli 86 giorni in cui il pozzo restò spezzato, in mezzo all’oceano, fuoriuscirono 200 milioni di galloni). Che fine ha fatto? Dove si è depositato? La risposta è semplice. Il petrolio è ancora lì: sul fondo marino, disperso tra le paludi, sulle spiagge. Nelle operazioni di ripulitura sono in questo momento impegnate circa 2000 persone della Guardia Costiera, che navigano a bordo di 200 battelli lungo le coste di Lousiana, Alabama, Mississippi, Florida. Ma i loro sforzi restano ben al di sotto della sfida. Mancano mezzi e personale (nei mesi immediatamente successivi al disastro, furono 48mila gli uomini impegnati). Il periodo della riproduzione, per molte specie di volatili e tartarughe, suggerisce alle squadre della Guardia Costiera di tenersi lontani dalle zone di nidificazione, e rallenta le operazioni di ripulitura. Intanto 130 miglia di palude della Lousiana appaiono tragicamente senza vita. La loro scomparsa significa la fine di un rifugio sicuro per gli stormi che di qui passano, e di un luogo di vita e nutrimento per gamberetti e altri crostacei.
Scienziati e operatori ecologici in queste settimane hanno segnalato altri possibili, e devastanti, effetti. Alghe e altri microrganismi sono scomparsi in un’area pari a circa 100 miglia intorno al pozzo di BP. “Le alghe sono come l’erba sulla terra. La loro scomparsa influisce sull’ossigeno, quindi sull’intero ecosistema e sulla catena alimentare”, ha spiegato Suzanne Fredericq, della University of Louisiana (molti animalisti prevedono di trovare tracce di greggio, attraverso le alghe, anche nello sperma delle balene). E lo scorso gennaio ben 153 carcasse di delfini, molti di questi molto giovani, alcuni persino in fase fetale, sono stati segnalati al largo della costa della Lousiana.
“Conserviamo gran parte delle evidenze di prova per il processo contro BP”, annunciano da NOAA, che sinora ha fatto filtrare col contagocce le notizie sugli effetti del disastro della Deepwater Horizon. Ma scienziati ed ecologisti temono che il governo federale cerchi di bloccare la diffusione della verità su quanto è successo e quanto potrebbe succedere. Gli ostacoli e le limitazioni imposte agli scienziati non legati al governo lo proverebbero. “Sinora sono state prodotte soltanto 14 ricerche indipendenti sullo stato del Golfo del Messico”, dice Lisa Suatoni del National Resources Defense Council.