Non è mai stata presa in considerazione un'azione di forza per liberare gli undici marinai sequestrati un mese fa nel porto di Tripoli da militari libici. "Non vogliamo mettere a repentaglio la vita degli ostaggi", ha spiegato il ministro della Difesa
Nei primi giorni di aprile sembrava che la situazione si stesse sbloccando. L’imbarcazione aveva lasciato il porto di Tripoli – facendo rotta verso una destinazione ignota -, ma per rientrarvi l’indomani. Il rimorchiatore Asso 22, della società ‘Augusta Off Shore‘ di Nopoli, ha a bordo undici persone – tra cui otto italiani, due indiani e un ucraino – ed è stato sequestrato da militari libici lo scorso 20 marzo. I marinai si trovavano nel Paese da un paio di giorni, avevano portato a termine la loro attività e attendevano istruzioni per il rientro. ”In Libia”, ha spiegato l’armatore Mario Mattioli, proprietario della compagnia, “Lavoriamo con un cliente locale partner dell’Eni’‘. Alle 6.30 del 20 marzo, invece, a bordo salgono degli uomini armati. E’ l’inzio del sequestro.
Fino a oggi, non si hanno notizie delle motivazioni né di richieste al governo italiano da parte dei libici. Il giorno dopo il sequestro, il ministro degli Esteri, Franco Frattini, escludeva l’ipotesi secondo cui gli uomini dell’Asso 22 fossero diventati degli ostaggi. ”Non lo credo affatto”, ha detto in un’intervista a ‘Radio Anch’io‘, “Si sarebbero mossi in altro modo e il rimorchiatore sarebbe già scomparso dai radar”. Dopo giorni di silenzio, le famiglie riescono a mettersi in contatto con l’equipaggio. Da allora ci saranno brevi ma costanti telefonate, dove gli uomini dell’Asso 22 raccontano sempre di stare bene e di essere trattati con riguardo dai militari.
Già nel marzo del 2009 il rimorchiatore aveva fatto parlare di sé, ma in un contesto del tutto differente. Sempre durante un’operazione in Libia, l’Asso 22 aveva intercettato al largo un’imbarcazione in difficoltà, subito agganciata e rimorchiata fino al porto di Tripoli. A bordo c’erano 350 migranti.