La proposta di modifica dell'articolo 1 della Costituzione presentata da un semisconosciuto deputato pidiellino è qualcosa di più di una proposta ad personam. Ribadendo la centralità del Parlamento si mettono all'angolo Capo dello Stato e Consulta. Da Cirami a Mugnai, ecco una cronologia degli sconosciuti balzati sulle cronache con proposte choc. Intanto il governo è nel pantano delle nuove poltrone: accontentati i Responsabili si apriranno altri fronti
All’inizio dicono tutti così, che è un’iniziativa personale. Poi, però, le cose cambiano. Succederà anche per la nuova proposta Pdl anti toghe, Consulta e Quirinale, presentata il 18 aprile sotto forma di proposta di legge per riformare l’articolo 1 della Costituzione. E che ieri ha creato ancora più scompiglio di quanto già non ce ne fosse in tema di giustizia. L’ultima trovata berlusconiana è però qualcosa di più di una nuova, semplice legge da personam. E’ un attacco diretto al Capo dello Stato, alla Consulta e anche all’intera categoria della magistratura. Derubricate, nel testo presentato dal peone marchigiano Remigio Ceroni, a organi dello Stato inferiori al Parlamento.
IL COLLE STA ALLA FINESTRA. PER ORA – Il Quirinale, per il momento, tace. Anche perché, si sussura tra i più vicini al Capo Dello Stato che cambiare l’articolo 1 della Costituzione sarebbe in contrasto con un altro articolo della Carta, il 139. E che, insomma, lo zelo di Ceroni, in questo caso, andrebbe derubricato come un gesto politicamente temerario, nulla di più. Però non si sa mai; i toni della maggioranza, pressati da un’appuntamento elettorale che si preannuncia lacrime e sangue almeno a Milano, potrebbero tentare fughe in avanti che il Quirinale, a quel punto, dovrebbe stoppare in tutti modi con un’inisiativa esemplare. Che, però, adesso non appare nelle cose. Per altro, facevano notare ieri proprio in zona Quirinale, non deve trarre in inganno, come invece potrebbe, il consueto ostracismo con cui – anche ieri – i colonnelli pidiellini hanno preso le distanze “dall’insano gesto” di Ceroni. Conviene andare un po’ indietro con la memoria per capire qual è la tattica berlusconiana per la presentazione di quelle che si possono chiamare, senza tema di smentita, porcate ad personam. La ricetta: si prende l’ultimo dei peone presente nella Camera di riferimento, uno di cui nessuno prima ha mai sentito parlare e che, dopo il servizio reso, ripiomberà nell’oblio. Gli si scrive la legge che si vuole portare avanti e si fa in modo che la firmi e la presenti nella massima discrezione. Dopo qualche giorno si dà in pasto alla stampa la notizia dell’esistenza di un articolato ad personam, si crea il caso e si vede che tipo di “accoglienza” riceve. Poi, misurate le forze, contati i nemici e soppesate le reazioni, soprattutto quirinalizie, si fa in modo che il succo della legge diventi l’emendamento principe di una legge similare, ben più nobile nella cornice, che è invece già incardinata e che porta la firma di uno più importante.
DA CIRAMI A MUGNAI: VIENI AVANTI PEONE – E’ dai tempi della prima legge sulla riduzione dei tempi di prescrizione che le cose, nel Pdl, vanno avanti così. Il primo fu Melchiorre Cirami. Presentò una legge su quello che poi gergalmente fu chiamato “legittimo sospetto e rimessione del processo”, per consentire una più agevole ricusazione di un collegio giudicante nel caso di “forte turbativa” al sereno svolgimento del procedimento. Il buon Melchiorre, insomma, fu il primo che ci mise la faccia. Poi arrivò Edmondo Cirielli, che mise su un bel papocchio per cambiare il codice penale là dove si parlava sempre di prescrizione, inventandosi un meccanismo per diminuire i termini di prescrizione ed aumentare le pene per i recidivi e per i delitti di associazione mafiosa e usura. Finì in un tale vortice di critiche che, alla fine, decise di ritirare la firma dalla legge che, comunque, fu puntualmente approvata e passata alla storia con il nome di “ex Cirielli” perché Edmondo decise di togliere la firma. Ma bisogna saltare un lungo arco temporale ed arrivare agli ultimi fasti delle leggi ad personam per ritrovare la tecnica Cirami- Cirielli. Alla Camera, il più profilico presentatore di leggi pro Silvio è Luigi Vitali del Pdl. A lui si deve la presentazione prima della prescrizione breve, poi diventata parte integrante del processo breve firmato dall’avvocatone Paniz e da poco approvata alla Camera in attesa di vedere luce definitiva, per i primi di giugno, al Senato. Soprattutto, è stato sempre lui a firmare una vera perla nell’immaginario delle leggi personali berlusconiane: l’ingiusta intercettazione, una misura stra-punitiva per i magistrati (e per i giornalisti) palesemente incostituzionale, ma capace di diventare emendamento ad hoc all’interno della legge sulle intercettazioni che sta per riemergere – per volere del Caimano – dalla polvere della commissione Giustizia della Camera. Si parla di far passare le amministrative e dopo di approvarla rapidamente, casomai solo con un nuovo, breve passaggio tecnico al Senato.
I peones pronti all’estremo sacrifico di una firma su una legge scomoda pur di essere rieletti non sono mica finiti. Sulla responsabilità civile dei magistrati, poi inserita nella legge comunitaria, a buttare il cuore oltre l’ostacolo è stato un leghista, Gianluca Pini, superato, però, da un pidiellino di sicura fede che al Senato ha messo la firma su un’altra porcata ad personam non da poco, il processo lunghissimo. E’ Franco Mugnai che, indottrinato da Ghedini e da Longo, ha presentato una leggina fatta apposta per bloccare il processo Ruby che ora è in commissione Giustizia del Senato e contano di approvarla entro i primi di giugno. E siamo a ieri, a Remigio Ceroni e al suo cuore che batte per Silvio, contro la Costituzione e per un Parlamento che dovrebbe diventare gerarchicamente più alto degli altri organi costituzionali, come magistratura, Consulta e Presidenza della Repubblica. Al momento tutti i poteri dello Stato hanno pari dignità e sono sullo stesso piano. Ma visto che Berlusconi sostiene che governo e parlamento sono tenuti in scacco dagli altri, allora ecco che si imporre una gerarchia.
IL PDL FA FINTA DI NIENTE, L’OPPOSIZIONE SI INDIGNA – La proposta Ceroni ieri ha subito collezionato una sequela di reazioni indignate, da quella ironica di Bersani (“tanto vale che scriviamo che è una Repubblica fondata su Scilipoti, così risolviamo”) a quelle più allarmate tipo Stefano Ceccanti del Pd: “E’ uguale alla costituzione staliniana del ’36 che recitava: Organo superiore dell’Urss è il Soviet supremo…”. Nel Pdl, invece, ufficialmente “non se n’è parlato”, come ha detto Cicchitto dopo il vertice di ieri, ma la realtà vedrà questa proposta incardinarsi in Parlamento dopo le amministrative per vedere la luce, secondo i calcoli di Palazzo Grazioli, in autunno inoltrato. Anche il Quirinale è stato avvertito che non si tratta affatto di una boutade. Al Colle la proposta è parsa per quel che è, un avvertimento, una rozza minaccia per indurre Napolitano a pensarci bene prima di sollevare la penna davanti alle prossime leggi ad personam sulla giustizia. Per questo ieri il Capo dello Stato era comunque furibondo; gli avvertimenti trasversali non gli sono mai piaciuti. Così come non gli piace affatto l’idea di dover affrontare, a breve, un nuovo scontro con Berlusconi sul rimpasto di governo, tema che ieri è stato al centro del vertice Pdl a Palazzo Grazioli.
MA SUL RIMPASTINO “NAPOLITANO SARA’ INFORMATO A BREVE – La promessa è praticamente la stessa che ha già ripetuto almeno un paio di volte negli ultimi tempi: il ‘rimpastino’ si farà la settimana prossima. Questa, però, dovrebbe essere la volta buona. Berlusconi lo ha garantito ai Responsabili che ieri erano arrivati a minacciare lo scioglimento del gruppo se il premier non avesse mantenuto la parola data sulla seconda tranche di nomine: il Capo dello Stato – ha promesso il Cavaliere al capo dei responsabili, Luciano Sardelli – sarà informato a breve. Prima della pausa di Pasqua, insomma, il Caimano ha provato a tappare una delle tante falle che si sono aperte nella maggioranza e nel governo e così ha deciso di dare il via libera a una infornata di nomine (dovrebbero essere nove-dieci in tutto, di cui due andranno a senatori) che – per dirla nel politichese di un alto dirigente – serve a dare “un coinvolgimento organico” di quello che il premier ha ribattezzato come il ‘Terzo polo dei riformisti’. In soldoni, è la ‘ricompensa’ per il gruppo che sta aiutando il governo a stare in vita dopo la scissione di Fli. Toccherà a Denis Verdini vederli a uno a uno e comunicare chi è dentro e chi è fuori.
E LE NUOVE POLTRONE CREANO NUOVI MALUMORI – Ma per una falla che si chiude, altre rischiano di aprirsi. Non solo tra i Responsabili che restano fuori dall’upgrade, ma ancora di più all’interno del Pdl stesso. Basta dire delle resistenze che sono state avanzate durante il vertice dagli ex An sulla possibilità di una nomina anche per Luca Bellotti e Roberto Rosso, passati al Fli e poi rientrati al Pdl. “Così – è stato l’argomento – rischia di passare la logica che chi esce e rientra guadagna il doppio”. Ma molti malumori malamente sopiti serpeggiano anche nella cosiddetta prima guardia azzurra, che continua a restare a digiuno di ‘riconoscimenti’ pur essendo rimasta – è la loro logica – sempre fedele al premier. Anche per questo, durante il vertice di palazzo Grazioli si è tornati a parlare di un allargamento. E sarebbe rispuntata l’ipotesi di procedere attraverso un decreto, ipotesi su cui il Quirinale già in passato ha avuto modo di manifestare la sua contrarietà. I rapporti tra palazzo Chigi e Colle, si sa, sono tornati tesissimi, ma Berlusconi potrebbe tentare di sottoporre al Colle la “necessità” e “l’urgenza” del provvedimento. Magari solo per farsi dire no e dimostrare – sarebbe l’argomento da spendere – che per l’ennesima volta il governo privo di poteri si trova con le mani legate. Nella riunione di ieri, d’altra parte, si sarebbe deciso di lasciare ancora vacante la poltrona di ministro delle Politiche Ue (per cui si era fatto il nome di Vincenzo Scotti) e questo, viene spiegato, proprio per “lasciare spazio a un’area di Fli in sofferenza”. Leggi Urso e Ronchi. Il Cavaliere, comunque, ha voluto chiudere la pratica Responsabili-rimpastino anche per non avere un altro ‘intralcio’ sulla battaglia del voto amministrativo; un voto negativo su Milano segnerebbe la sua fine più di qualsiasi nuovo processo.