Con una perifrasi degna della rimpianta scuola democristiana, il centrosinistra tenta un colpo teso ad agguantare due piccioni con una fava: tenere assieme i movimenti che difendono la scuola pubblica e i finanziamenti alle scuole private paritarie (tutte cattoliche). Nel programma del candidato sindaco Virginio Merola leggiamo infatti che “Bologna […] deve difendere la scuola pubblica dall’attacco del governo nazionale, richiamando lo Stato ad assolvere le proprie funzioni costituzionali e a destinare risorse al sistema scolastico bolognese”.
Occorre una piccola analisi del testo per “scoprire l’inganno”, dunque abbiate un minimo di pazienza. Dopo la dichiarazione di principio (utile a raccogliere il pieno di condivisione e a distrarre da ciò che segue) “Bologna deve difendere la scuola pubblica”, ciò che concretamente si propone è che “lo Stato destini risorse al sistema scolastico bolognese”. Tutto bene? Non proprio, perché il riferimento implicito è alla legge di parità voluta dal ministro Luigi Berlinguer (siamo sempre in casa del centrosinistra). La legge 62/2000 definisce come “sistema pubblico” quello formato dalle scuole statali, dalle scuole comunali paritarie e dalle scuole private paritarie.
Ora siamo pronti alla traduzione dell’enigmatica frase del programma meroliano: il centrosinistra chiede al Governo che siano assegnati più fondi alle scuole bolognesi, pubbliche (statali e comunali) e private. Ovviamente il Governo non sgancerà un euro, a testimonianza della strumentalità ideologica della proposta stessa.
In aggiunta alla richiesta di maggiori finanziamenti da destinare anche alle scuole private, il Comune di Bologna continuerà ad elargir loro oltre un milione di euro all’anno. La Curia dorme sonni tranquilli, perché anche il trend di crescita dei finanziamenti comunali alle scuole private è più che positivo: in quindici anni sono quadruplicati.
Di fronte al disastro programmatico del centrosinistra, i movimenti a difesa della scuola pubblica non sono rimasti inerti. Manifestazioni si susseguono ininterrotte da tre anni e sono culminate nella presenza di piazza del 12 marzo scorso.
Con la piazza si può molto ma non tutto. Serve un rapporto dialettico con la politica “ufficiale”, anche e soprattutto quando la si critica aspramente; serve avere, nelle Istituzioni di cui difendiamo la laicità, dei rappresentanti che provengano dai nostri movimenti, che si facciano non “interpreti” bensì portavoci delle nostre istanze. Prontamente i movimenti in difesa della scuola pubblica li hanno individuati, hanno raccolto la disponibilità di diverse forze politiche e li hanno candidati.
Sono Marina D’Altri (indipendente Pd), Mirco Pieralisi (Sel) e Orazio Sturniolo (Fds): il Trio Lescano, come sono stati subito affettuosamente definiti dagli amici, che da loro s’aspettano voci chiare e ben spese come quelle delle tre sorelle d’origine ungherese. Per ora non hanno deluso le aspettative e all’unisono hanno cantato: “Siamo contro qualsiasi finanziamento pubblico alle scuole private e crediamo che la scuola sia come l’acqua: un bene comune inalienabile, fuori mercato perché appartiene a tutte e a tutti. Abbiamo una grande passione per la politica partecipata e per il rapporto diretto con le persone”.
La partita è aperta e la si giocherà non solo nelle urne. Nel dibattito è entrato due mesi fa il quesito per un referendum consultivo sui finanziamenti comunali alle scuole private paritarie, presentato dal Comitato Articolo 33, che riunisce una vasta alleanza tra sindacati, associazionismo laico, assemblee di genitori e insegnanti e lavoratori precari.
Chiamati ad esprimersi sull’ammissibilità del referendum, i Garanti del Comune di Bologna hanno deciso di non decidere, preservando il diritto d’intervenire sulla materia ai soli eletti in Consiglio. In altre parole, sui problemi rilevanti, i cittadini non possono concorrere dal basso a definire l’agenda politica della città. Il Comitato ha annunciato che farà ricorso e organizza per giovedì 12 maggio, tre giorni prima delle elezioni, un’assemblea pubblica, alla sala del Baraccano.
La parola fine è lontana dall’essere scritta, perché si scrive scuola pubblica e si legge democrazia.