Ma ci prendono in giro? Anche oggi Letizia Moratti dice che “il caso Lassini è chiuso”. Come? Non si sa. Si sa che Roberto Lassini non può dimettersi. E lui stesso, ricevuta ieri la telefonata di solidarietà dal premier, ha detto che di ritirarsi dalle elezioni comunali di Milano del prossimo 15 maggio non ci pensa neanche. Tanto meno di dimettersi dopo aver vinto, perché è chiaro che vincerà. Alla faccia dell’intervento del Capo dello Stato. Alla faccia dei vari Renato Schifani, Maurizio Lupi, Ignazio La Russa, Roberto Maroni (tanto per citarne alcuni) che si erano detti scandalizzati dai manifesti “Via le Br dalle procure” di cui Lassini ha riconosciuto la paternità. E alla faccia delle prese di coscienza dell’anonimo avvocato di Turbigo balzato alla notorietà mediatica per un gesto di cui anche lui si è detto “pentito”. Ma il pentimento è durato il tempo di una conferenza stampa. Convocata per scusarsi con il Capo dello Stato e annunciare la volontà di ritarsi. Questo avveniva due giorni fa (guarda il video).
Anche il diktat di Letizia Moratti, oggi, appare solo come una mossa da politicante, neanche troppo navigata. Martedì, appena tre giorni fa, ha minacciato: “In lista o io o Lassini”. Un diktat preso sul serio appena un giorno. Giusto il tempo di scoprire che Lassini non poteva ritirare la sua candidatura, che Lassini rimane in lista, che Lassini col cavolo che rinuncia a sedere in consiglio comunale, che Lassini punta a raccogliere molti voti, che Lassini ha il sostegno di buona parte del Pdl e ha l’armata de Il Giornale al suo fianco. E molto altro ancora. Che messo insieme nel concreto delle urne si può tradurre con le parole di Alessandro Sallusti, direttore del quotidiano di casa Berlusconi: “Io voto Moratti e Lassini”. Così finisce il caso dei manifesti che hanno accostato i magistrati alle Brigate rosse. Così finisce inascoltato Giorgio Napolitano, la società civile, le vittime dei brigatisti, i figli e i parenti degli avvocati, dei giudici, dei giornalisti e di tutti i trucidati dalle brigate rosse. Nel Pdl si riduce tutto al “prendiamo più voti con Lassini o senza Lassini?”. E la risposta è ormai evidente.
Per Milano quei manifesti sono stati un affronto. Che non si cancella così facilmente. E la storia ha dimostrato che i milanesi a farsi prendere in giro non ci stanno. Letizia Moratti lo sa bene. O comunque lo sanno bene le schiere di consulenti e consiglieri che si trascina dietro in questa sua milionaria campagna elettorale. Così ha tentato di rassicurare anche stamani: “Lassini ha consegnato una lettera di dimissioni al coordinatore Mantovani, il caso è chiuso”. Chiuso? E come? Non si sa. Pensa davvero il sindaco di essere credibile? Immagina davvero, l’ex ministro dell’istruzione, che per convincere gli elettori basti una dichiarazione alle agenzie? Non è la stessa Moratti che tre giorni fa aveva minacciato “o io o Lassini in lista”? Minaccia caduta nel vuoto. Ma come: non sono insieme ora? E quindi come crederle? E insieme faranno la campagna elettorale. Anzi, stia tranquilla, la signora sindaca, che il 7 maggio, quando Silvio Berlusconi tornerà a Milano per chiuderle la campagna elettorale, Lassini sarà la vera star della giornata. Non si illuda. E non si illuda che basti dire “il caso è chiuso”. Perché non basta.
Milano è una città diversa da quella che immagina Letizia Moratti. E i milanesi lo sono ancora di più. Uno di questi ha scritto un bellissimo intervento giorni fa sul Corriere della Sera. Si chiama Umberto Ambrosoli. E merita di essere letto e riletto e riletto ancora. Perché la politica deve essere qualcosa di più nobile della corsa a chi raccoglie più voti con mezzucci come la menzogna e ricchi spot televisivi. “Candidarsi è assumere un impegno verso gli altri e nessun impegno è possibile senza rispetto”, scrive Ambrosoli. “Sarebbe, da parte di quei candidati, segno di vera attenzione ai cittadini un gesto di severa critica a quei manifesti. Sarebbe assenza di rispetto il tacere per non essere accusati di insubordinazione o intelligenza, siamo a questo, con il nemico”.