Pagella negativa per gli atenei online riconosciuti dal ministero. Molti di questi infatti si reggono su un organico di ruolo ridotto al lumicino, con lezioni affidate soprattutto a ricercatori a tempo determinato. Oppure a personale a contratto preso in prestito dall’università tradizionale. “E la ricerca scientifica è spesso assente quando invece dovrebbe caratterizzare un’università, altrimenti questa diventa un semplice dottorificio – denuncia Guido Fiegna, membro del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario -. Le uniche attività di ricerca sono generalmente appoggiate a quelle delle università vere, statali”. L’organismo, che fa capo al ministero dell’Istruzione, prima di lasciare il posto alla nuova Agenzia nazionale di valutazione, ha fatto le ultime ispezioni negli atenei online confermando i problemi denunciati anche in passato. Ombre di cui il ministro Mariastella Gelmini è stato messo al corrente con una dura lettera in cui i nove membri, esperti illustri del settore, chiedono un intervento normativo.
Dopo lo stop voluto dall’ex ministro Mussi alla proliferazione degli atenei online, si attende ancora il decreto che deve rimettere mano ai requisiti da imporre a queste realtà che, pur essendo numerose (costituiscono oltre il 10% del totale delle università) raccolgono circa 14mila studenti, intorno all’1% del totale degli iscritti in Italia. La stessa Gelmini ha annunciato tolleranza zero, ma “i poteri in campo sono troppo grandi”, affonda Fiegna. Alcuni campus sono legati a doppio filo con famosi centri di assistenza agli esami come E-campus, filiazione universitaria di Cepu o l’Unisu, con alle spalle Universitalia, istituto romano privato di preparazione agli esami. Strutture, che in maniera più o meno dichiarata, funzionano da “vasi comunicanti”, immettendo gli studenti in un circuito a pagamento dove l’università indirizza al centro di preparazione agli esami, e i tutor spingono poi verso l’ateneo online a cui sono collegati. Con il risultato che se un’iscrizione a un corso di laurea costa in media tra i 5 e gli 8mila euro l’anno, altrettanti ne servono per il “centro di assistenza” a quell’ateneo collegato. Così per una laurea triennale si arrivano a spendere anche 18mila euro.
Gli studenti dal 2003 a oggi sono aumentati del 900%: erano 1.529 nell’anno accademico 2004-2005, oggi sono 14mila. Ma negli ultimi tempi si è registrata una flessione. “Nei quattro campus online nati per primi nel nostro Paese (Guglielmo Marconi, Tel.m.a., Uninettuno e Leonardo da Vinci) – spiega Fiegna – le iscrizioni dell’ultimo anno accademico sono calate di circa 1.600 unità e sono pochi coloro che scelgono questo strumento per la propria formazione (lo 0,7% del totale). La Tel.m.a. ha registrato addirittura un alto trend negativo, passando in un anno da 1.226 ad appena 56 immatricolazioni”.
Non tutte le strutture sono riconosciute dal Miur. Alcune, senza autorizzazione, vanno a formare un “sistema parallelo” che consente di ottenere una laurea a pagamento in tempi da record, accorciando corsi di studio e collezionando crediti formativi. A Roma, proprio accanto al “mostro sacro” di piazzale Aldo Moro, due mesi fa è nata la Unitelma Sapienza, che si avvale del supporto economico e gestionale di un consorzio costituito da Sapienza, Formez PA e Poste Italiane.
“La sfida dell’e-learning non ha portato alla creazione di una grande università telematica pubblica, come la Uned spagnola che ha 150mila allievi, o la Open University inglese, che ne ha oltre 180mila, ma alla creazione di tante piccole realtà con dichiarato scopo di lucro”, affonda Fiegna. In Italia c’è il record di università online. Il 90,7% degli immatricolati ha più di 25 anni. Universitari non più giovanissimi, eppure con il primato delle lauree precoci, quelle ottenute abbreviando cioè il corso degli studi. Per esempio all’Unisu, università delle Scienze umane Niccolò Cusano con sede a Roma, il numero dei laureati precoci ha raggiunto nel 2008 la quota del 69,8% di tutti gli allievi, con la conseguenza che in quell’università soltanto il 30,2% degli iscritti è diventato “dottore” nei tempi canonici.
Un metodo rodato per diventare dottori a caro prezzo, ma con il minimo dell’impegno. Spesso lo sconto arriva anche a due anni e mezzo, gli esami sono senza rischi e le tesi compilate in fretta. Un business da oltre 100 milioni di euro l’anno, senza contare i proventi di master e specializzazioni. I campus telematici si sono trasformati in pochi anni in luoghi dove ottenere con facilità una laurea, che serve poi a farsi strada nella pubblica amministrazione. Con titoli del tutto equivalenti alle lauree tradizionali sia come punteggio per i concorsi, che per gli avanzamenti di carriera.
Ma chi c’è dietro le università telematiche? La Gugliemo Marconi, la più frequentata tra le università telematiche, con oltre 8mila allievi e 30 corsi di laurea, sorge con l’apporto di Wind e di un gruppo di banche. Dietro il discusso ateneo Giustino Fortunato di Benevento, un unico corso di laurea attivato in Giurisprudenza, rettore Augusto Fantozzi, c’è la onlus Efiro, dell’imprenditore Angelo Colarusso, già patron di diverse scuole di recupero esami. La napoletana Pegaso è al 100% di proprietà di Danilo, Raffaele e Angelo Jervolino, già presenti in altri istituti privati partenopei. Diverso il caso della Uninettuno, fondata da un consorzio di università pubbliche con un team di aziende, Rai, Telecom e Confindustria. Un consorzio di cinque università si trova dietro la Iul di Firenze, Italian University on Line, unica università telematica pubblica in Italia.