Non puoi dire di essere un musicista bolognese se non conosci Scandellara, e non puoi non conoscere Scandellara se suoni e abiti a Bologna. Non ricordo la prima volta in cui ci ho messo piede e non so ancora quando sarà l’ultima, affezionata come sono ai suoi riti, ai suoi ritmi e perfino ai suoi limiti.
Ho visitato moltissimi studi di registrazione nella mia lunga gavetta appresso alla musica e a chi la fa, in varie città d’Italia, e ne ho visti di molto belli, costosi, accessoriati, tecnologici e provvisti di ogni mezzo atto a tirare fuori un disco robusto quanto spesso inutile. Scandellara non ha la forma di uno studio.
Quando arrivi alla costruzione colonica che ne è la sede, circondata dai campi, in mezzo al parco omonimo, pensi di essere capitato in casa di qualche amico per il barbeque domenicale.
C’è sempre un’atmosfera agreste e pittoresca a “Scandella”. Se arrivi a registrare al mattino puoi aiutare Pecos ad aprire le finestre dalle imposte di legno che danno sulla campagna circostante, sul traffico della tangenziale in lontananza, sulle panchine del parchetto antistante, sul vociare di bambini ai loro giochi, e tutto ciò potrebbe diventare un subliminale sottofondo di qualche registrazione.
Scandellara si distingue da un asettico studio di registrazione convenzionale, fatto di ambienti sigillati, acusticamente isolati e spesse volte senza luce naturale, per l’assenza del cosiddetto “acquario”, il vetro che separa la regia dalla sala riprese. Per comunicare con Pecos si usa solo il talkback, microfono lui, cuffia e microfono tu, senza uno scambio di sguardi, intuendo solo dai rumori o dai silenzi qualsiasi cambio di atmosfera, la risoluzione o la comparsa di un problema.
Nell’open space dalle travi a vista, dove avvengono le riprese, convivono in un equilibrato disordine strumenti musicali, cavi, vecchie bobine, cd, e bottiglie vuote dimenticate dai musicisti.
Chissà perché la gente dimentica sempre bottiglie vuote ovunque.
Un cantante che registri in Scandellara non deve avere fretta e deve essere pronto a fermarsi se per caso un uccello abbia deciso di costruire a colpi di becco un nido sul tetto o se per caso arrivi una mieti-trebbia nel campo adiacente.
Sono legata allo “Scandellara sound” caratterizzato, oltre che dalle sue “fisicità” inalienabili, soprattutto dall’apporto di Pecos, batterista, fonico e gestore di questo spazio comunale.
Sì, perché quello che non ho detto finora è che si tratta di uno spazio comunale dato in gestione, per offrire a prezzo calmierato un servizio ai tanti musicisti che abbiano il loro sogno da coltivare. Giovani e meno giovani, freschi di entusiasmo o disillusi dall’ingranaggio, talentuosi oppure velleitari e basta.
Senza Scandellara non so quanti demo o dischi avremmo in meno, alcuni dei quali sono rimasti solo un bel ricordo per chi li ha realizzati, certo, altri però sono partiti alla conquista del mondo, e mi piace pensare che tra questi ultimi ci sia anche il mio Tipa ideale, nato lì tra mille difficoltà superate con la massima dedizione mia e di Pecos, paziente come nessuno nei confronti della mia pignoleria e delle mie infinite turbolenze.
Tutte le volte in cui gli chiedo se potremo registrare un brano nuovo lui mi risponde che non sa se domani Scandellara ci sarà, alludendo al rinnovo della concessione. Io spero che Scandella resista ancora per molto.