Due ricette infallibili per scoraggiare il libro e la cultura. La prima viene da un intellettuale di sinistra. In un’intervista a Tuttolibri, Stefano Rodotà racconta di avere scoperto la lettura «nella grande casa dei nonni a Cosenza». Una stagione da favola, quando i mulini erano bianchi.

«Magari non si avevano soldi per tante altre cose ma mai si rinunciava al volume che si andava a ordinare alla cartolibreria… Leggevo di tutto: da Balzac a Dostoevskij, Walter Scott, Rabelais, Mann, Cervantes, Melville… Ferenc Körmendi, Alberto Moravia e i poeti, Ungaretti, Montale, Quasimodo, Pasolini: veramente non mi sono mai fatto mancare nulla».

Beh, qualcosa forse sì: le partite di calcio all’oratorio, tanto per dirne una. Mentre i coetanei si facevano indottrinare dal parroco, il piccolo Stefano temprava la sua dura scorza di laico integrale sulle pagine di Delitto e Castigo. Splendido esempio per le nuove generazioni, anche perché Rodotà di strada ne ha fatta parecchia.

Ma proviamo a far leggere l’intervista a un sedicenne con l’iPod conficcato nelle sinapsi e una cronica allergia alla carta stampata. Ne ricaverà la conferma che il libro è oggetto obsoleto, il retaggio di un’epoca di stenti senza tivù né motorini, dove gli adolescenti si annoiavano a morte a casa dei nonni.

Perché regredire a quel mondo trogloditico? E rottamato il book si ritufferà in Facebook.

Seconda ricetta: dalle colonne del Giornale l’intellettuale di destra Giorgio Israel se la prende coi “pedagogisti progressisti” che starebbero smantellando la scuola italiana: videogiochi al posto dei libri, insegnanti trasformati in “facilitatori”.

Una vera e propria Caporetto educativa, voluta e pianificata dalla sinistra. Fortuna che gli austeri pedagogisti di centrodestra stanno provvedendo a riportare la serietà negli studi: televisivi e odontoiatrici, s’intende. Nessuna facilitazione per le igieniste dentali.

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