Vittorio Feltri dovrebbe coltivare di più la virtù cardinale della prudenza. Ieri il fondatore di Libero (ritornato all’ovile per risollevare le sorti della sua creatura) si è lanciato in uno spericolato articolo dal sobrio titolo: “Chi mena la signora Ceroni. Il marito o Padellaro?”. Il punto interrogativo è puro orpello poichè la prosa feltriana ha un solo obiettivo: dimostrare che il nostro articolo sulle abitudini casarecce del giureconsulto Ceroni (l’onorevole Pdl che intende dare alla Costituzione una forte impronta bunga bunga) era “lacunoso”. Mentre il famoso trattamento riservato al direttore dell’Avvenire Dino Boffo, quando lui, Feltri, dirigeva il Giornale era “esatto”. Speriamo che la documentazione pubblicata nell’odierno articolo di Sandra Amurri sia considerata esauriente dal maestro di trattamenti giornalistici.

Sulla festosa intervista di Barbara Romano alla signora Ceroni (“Se mio marito mi avesse picchiato non saremmo arrivati a 38 anni di matrimonio”) corredato da foto del Ceroni con torta e famiglia felice, stendiamo un velo pietoso. Di mogli costrette a negare una vita coniugale complicata ne esistono purtroppo troppe. Se Sandra Amurri è stata volutamente “lacunosa” nel primo articolo lo ha fatto evidentemente perchè ciò che interessava al Fatto era la figura, diciamo così controversa, del deputato marchigiano e nulla più. Quindi, nessuna “macchina del fango” (così recitava l’occhiello dell’articolo di Feltri) ma semplice diritto di cronaca. Non era forse l’on. Ceroni assurto a protagonista assoluto di tutte le prime pagine dei quotidiani italiani? E non era forse giusto raccontare ai lettori vita e opere di questa nuova e fulgida stella del firmamento politico? Dica la verità Feltri: se fosse stato al nostro posto avrebbe preferito stampare la leggiadra foto del brindisi della famiglia Ceroni o l’impressionante referto dell’ospedale di Fermo?

Il Fondatore si duole poi di un mio intervento a Linea diretta su Rai3 quando ho dovuto spiegare al direttore dell’Occidentale (testata on line vicina al Pdl) che mi accusava di “trattamento Boffo” la differenza tra le notizie del Fatto e la celebre patacca pubblicata dal Giornale. Feltri non potrà infatti negare che se la condanna per molestie di Boffo c’era veramente stata, il verbale che attenzionava il nostro collega imputandogli frequentazioni omossessuali era falso che più falso non si può. Questo cercavo di dire all’esagitato occidentale che mi sedeva accanto. Dunque, temo che Feltri abbia toppato un’altra volta.

Quanto infine alla sua speranza che l’Ordine dei giornalisti non “infili il becco” negli articoli del Fatto (e perchè mai?), non so come prenderla. Spero non si tratti di un modo capzioso per dire invece: infilateci il becco. In questo caso molto me ne dorrei rammentando le riconoscenti parole di Feltri, dopo la sospensione inflittagli per la vicenda Boffo. Quando scesi in campo sul Fatto proprio per difendere il suo diritto a scrivere sciocchezze, parendomi già questa una pena adeguata.

Il Fatto Quotidiano, 24 aprile 2011

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