Giorgio Napolitano invita ad abbassare i toni e promuove le riforme ma nel solco costituzionale. Fischi a La Russa. Nel capoluogo lombardo circa 60mila persone in piazza tra canti, colori e qualche battutaccia. Come quella al segretario del Pd: Svegliati
Un venticinque aprile che marca i confini della Costituzione, rilancia la speranza di una nuova alleanza democratica, promuovendo un rinnovato spirito di riconciliazione, non dimenticando però le polveri della politica. Le sue scorie, i suoi attriti e scontri. E così se da Roma è arrivato il monito del presidente della Repubblica per un cammino delle riforme che non tracimi oltre gli argini della Costituzione, da Milano rimonta il malumore. Le critiche in salsa meneghina indossano l’abito bipartisan. Con i fischi per il segretario del Pd Pierluigi Bersani e per il sindaco Letizia Moratti. I quali, dimostrando, ancora una volta, di non esser in grado di intercettare il sentire dei cittadini, pensano di sfumare la contestazione dentro a una malinconica stretta di mano sul palco di piazza Duomo. E del resto a normalizzare il tutto ci ha pensato il vice sindaco Riccardo De Corato per il quale i 60mila che hanno ingrossato il corteo di Milano lo hanno fatto solo per manifestare contro Berlusconi. E così, in parte, è stato. Anche perché, il presidente del Consiglio, come capita da anni, ha pensato di girare al largo dalle celebrazioni. Ma quello appena passato è stato anche il 25 aprile dei nuovi rigurgiti fascisti. Da Milano a Roma il filo nero appare identico. E così in mattinata le agenzia hanno battuto la notizia di alcune scritte di Forza Nuova comparse su un monumento alla Resistenza in un piazza della periferia milanese. Mentre dalla Capitale, la scritta in stile Auschwitz comparsa nel popolare quartiere del Pigneto ha fatto arrabbiare addirittura il sindaco Alemanno e il governatore del Lazio Polverini. Si è tratta di una provocazione, fa sapere l’autore. Non la pensano così gli uomini della Digos che su quella scritta tradotta dal tedesco all’inglese (“Il lavoro nobilita l’uomo”, che era messa all’ingresso del campo di concentramento) vogliono vederci chiaro. A rigor di cronaca però vanno segnalate anche stelle a cinque punte verniciate sui simboli della Resistenza di Livorno.
La giornata delle celebrazioni è iniziata in piazza Venezia con il presidente Napolitano che ha deposto una corona davanti al monumento del Milite Ignoto. Qui, poi, ha preso la parola riproducendo il Napolitano che abbiamo imparato ad ascoltare negli ultimi mesi: abbassare i toni. Tradotto nell’ultima versione: “La difficoltà delle sfide di oggi e del futuro richiedono nuovo senso di responsabilità nazionale, una rinnovata capacità di coesione nel libero confronto delle posizioni alla ricerca di ogni terreno di convergenza”. E ancora: proseguire nel cammino delle riforme, ma tenendo la barra ferma sulla Costituzione. Quindi non creare uno scontro tra fazioni le prossime amministrative. Parole sulle quali si sono accodati nell’ordine la senatrice Pd Angela Finocchiaro, il segretario Pierluigi Bersani, ma anche il sindaco Letizia Moratti, che, in effetti, di abbassare i toni non vede l’ora, dopo la burrasca Lassini e i manifesti anti-pm- E mentre quasi all’alba il presidente della Camera Gianfranco Fini da Herat salutava il giorno della Liberazione assieme ai nostri soldati, in piazza Venezia oltre all’acqua piovevano fischi per il ministro Ignazio La Russa. Fischi, del resto, poco giustificati visto il discorso morbido del ministro. Perché La Russa, in perfetta linea istituzionale, si è limitato a ricordare che la Liberazione è anche merito delle forze armate e che bisogna superare le divisioni del passato. Se ne è accorto Bersani che ha condannato i fischi (pochi e sporadici), con una postilla: bisognava fischiare La Russa durante il suoi expolit in Parlamento durante il vaffa a Fini.
Chiuso e mandato in archivio il 25 aprile capitolino con il solo strascico del Pigneto (scritta subito rimossa), il gran tour della Liberazione si è spostato sotto le guglie del Duomo. Appuntamento in via Palestro, quella della strage mafiosa del 1993. Qui arrivano tutti: i partigiani e tra loro quel 99enne che scherza “non voglio morire sotto Berlusconi”. Arrivano anche immigrati, Centri sociali, politici e semplici cittadini. Ci sono quelli del Popolo viola e di Valigia blu che ricordano i magistrati uccisi dalla Brigate rosse (quelle vere). Alla fine saranno 60mila. All’inizio però la tensione sale. Lo si vede nei volti degli agenti. Alcuni ragazzi dei Centro sociali fanno blocco, vogliono passare, raggiungere la testa del corteo. Per fortuna sono solo scorie, che l’aria primaverile disperde quasi subito. E così alla fine saranno soprattutto canti, striscioni e colori. Con i ragazzi del Cantiere che dipingono Berlusconi con il volto del Joker e auspicano la cacciata del raìs (italiano). Ci sono i democratici di Arcore. E gli immigrati che rispondono a Bossi con un secco: “Berlusconi e Bossi foera di ball”. Dialetto padano perfetto, altrettanto il significato. Il resto sono i volti dei milanesi che raccontano la delusione per questa politica. Per quella di governo (nazionale e locale) e per quella di opposizione. Entrambe arrivano in piazza. Ed entrambe si beccano fischi e contestazioni. Nulla di clamoroso. Ma qualcosa che gira male si annusa. Perché se i fischi a donna Letizia sono un clichet ormai quasi abusato e certamente stucchevole (“Fascista vattene”), quelli a Bersani segnano una piccola svolta. O quantomeno un segnale per il segretario del Pd più volte gentilmente invitato a “svegliarsi”. E lui, in effetti, si sveglia e dice: “Berlusconi al Colle mi vengono i brividi”. Il resto è un foglio bianco ancora tutto da scrivere. Ci prova, per lui, il segretario della Cgil Susanna Camusso “Ci sono valori immodificabili e sarebbe responsabilità del Governo difenderli, cosa che non fa”. Mette un punto il neo-presidente dell’Associazione nazionale partigiani italiani Carlo Smuraglia che disegna una “nuova alleanza democratica per cambiare il Paese”, quindi avverte “a Milano i rigurgiti fascisti sono in aumento”.
Titoli di coda per le parole un po’ annacquate dei candidati sindaci che a donna Letizia contendono la poltrona più alta di palazzo Marino. Inizia Giuliano Pisapia: “Io – dice il pist star della sinistra – penso a Milano ma è certo che un cambiamento a Milano porterebbe una grande spinta a un cambiamento del Paese”. Rincorre la moda del nuovo che avanza anche il candidato di Fli Manfredi Palmeri, pidiellino deluso. Dice: “Ingeneroso è dire che solo la Sinistra voglia una svolta. Anche chi non vota la Sinistra di Pisapia vuole un cambiamento: anche e soprattutto chi ha votato per lei e il vecchio centrodestra è molto deluso dagli scarsi risultati di questi 5 anni con la Moratti”. Di rimbalzo ecco la chiosa finale dell’outsider del Movimento Cinque Stelle, l’appena ventenne Mattia Calise che, causa forse l’aria barricadera del corteo, azzarda svirgolati rimandi storici. ”Dobbiamo liberarci dalla casta dei politici”. E fin qui il sound è noto. Quindi l’acuto: “Berlusconi – dice Calise- è una vergogna per l’Italia soprattutto per chi ci osserva dall’estero. Ci fosse stato Pertini lo avrebbe già cacciato via a calci nel sedere”. Punto. Finito. Il 25 aprile va in archivio. E piazza Duomo torna a riempirsi dei turisti di Pasquetta