Un'azienda svedese ha messo a punto una tecnologia per catturare e stipare sottoterra le emissioni di anidride carbonica prodotte dalle centrali, ma il dibattito resta aperto. Da una parte si cerca un'alternativa al nucleare, dall'altra si teme che i depositi sotterranei di gas possano avvelenare le falde acquifere e anche le superfici agricole
A Berlino la fonte primaria di energia è la combustione del carbone e, in attesa delle rinnovabili, l’idea di renderla più verde piace a molti. Soprattutto alla compagnia scandinava, che nel 2015 inaugurerà la prima maxi-centrale dimostrativa in terra tedesca.
Svolta storica e fine del carbone come fonte “sporca”? Forse. Se le industrie energetiche si preparano già a incassare super-incentivi, l’idea di riempire il sottosuolo di anidride carbonica non piace a tutti: la trovata può essere pericolosa, causare incidenti e inquinare le falde.
Sul rivoluzionario metodo Css, cattura e stoccaggio della CO2, la cautela è massima. Allevatori e agricoltori potrebbero non gradire l’idea di vedere il proprio sottosuolo imbottito di gas, anche se la Vattenfall giura sull’assoluta sicurezza delle “trappole geologiche” in cui verrà sepolta l’anidride carbonica, a mille metri di profondità.
Il gas serra, prodotto dalla combustione del materiale fossile, rappresenta il maggiore handicap ambientale delle centrali a carbone: in questo caso verrebbe separato dagli altri fumi e pompato sottoterra, dove sarebbe immagazzinato “permanentemente” in gigantesche cavità: vecchi giacimenti di idrocarburi ormai esauriti o, più spesso, formazioni porose e permeabili che creano “camere di immagazzinamento” naturali.
L’opposizione è già in allerta: primo, perché la Vattenfall mira ad occuparsi di tutto il ciclo del carbone, dall’estrazione nelle miniere ai nuovi impianti per la produzione elettrica. E poi per le perplessità nei confronti di una tecnologia ancora “giovane”, non ancora abbastanza sviluppata e testata, nonostante la compagnia svedese abbia aperto “centrali pilota” anche in Olanda e nel Regno Unito.
Le preoccupazioni riguardano le possibili fughe di CO2, altamente tossiche. Ma c’è di più: si teme che i depositi sotterranei di gas serra possano avvelenare falde acquifere e superfici agricole. “Inutile prendersi cura delle nostre risorse, preservandole per i nostri figli, se poi immagazziniamo la CO2 nei terreni senza avere idea di cosa ciò possa provocare”, afferma l’allevatore Henrik Staark, intervistato dalla rete tedesca ZDF in vista dall’apertura della prima centrale, a Jänschwalde. “Saranno minacciati i miei animali? E l’acqua?”.
Se gli agricoltori temono il peggio, persino Ralf Christoffers, ministro dell’economia del Brandeburgo, Land fra i più ricchi di carbone e ultra-dipendente dalla più tradizionale fonte energetica, non ritiene possibile, per il momento, garantire ai cittadini la completa sicurezza di questa nuova tecnologia.
E in Italia? Proprio in questi giorni è stato inaugurato un impianto pilota per la cattura dell’anidride carbonica. L’Enel ha infatti deciso di sperimentare “cattura e sequestro” di parte dei 15 milioni di tonnellate di CO2 immessi annualmente in atmosfera dalla centrale termoelettrica a carbone di Cerano, nei pressi di Brindisi. L’impianto sperimentale pugliese sembrerebbe in grado di “filtrare” dai fumi di combustione circa ottomila tonnellate di anidride carbonica all’anno: cifra che in realtà rappresenta appena lo 0,05% di tutte le emissioni annue della centrale.
Intanto, c’è chi prova a cambiare orizzonte. Greenpeace parla di “false speranze” sul futuro del carbone pulito, “ampiamente propagandato” dall’industria del settore solo per “giustificare la costruzione di nuove centrali”. Sforzi vani, per gli ecologisti, dato il carattere “ampiamente sperimentale” della Css. Tecnologia che, oltretutto, “non sarà pronta in tempo per salvare il clima”.