Manifestanti protestano a Londra per la detenzione di cittadini britannici nella prigione statunitense

Per essere rinchiusi nel carcere di massima sicurezza statunitense di Guantanamo bastava aver fatto “un viaggio in Afghanistan per qualsiasi ragione dopo gli attacchi terroristi dell’11 settembre 2001”. Oppure indossare un preciso modello di orologio Casio, “spesso consegnati agli studenti dei corsi di esplosivi di Al Qaeda in Afghanistan”. Così, almeno 150 persone sono state detenute anche se innocenti. Tra queste, un 89enne afghano affetto da demenza senile e un 14enne rapito dai Talebani. E’ quanto emerge dai nuovi cables diffusi dal sito WikiLeaks: 759 files militari sulla prigione Usa nell’isola di Cuba, classificati come ‘segreti‘ dalle forze armate americane. Della loro diffusione, insieme a quella di altre centinaia di documenti, è accusato il militare Bradley Manning. In una nota, il Pentagono ha definito “deplorevole” la pubblicazione dei documenti, con valutazioni incomplete che non aiuterebbero a comprendere la complessa situazione di Guantanamo.

I files riguardano le analisi riservate dell’intelligence statunitense su tutti i 779 detenuti a Guantanamo dal 2002. Alcuni di questi, 172 persone, sono ancora prigioniere, nonostante la decisione del presidente Barack Obama di chiudere la prigione. Secondo il quotidiano americano The Guardian – che ha pubblicato i documenti insieme al New York Times -, dai files sarebbe chiaro come la detenzione di presunti terroristi a Guantanamo fosse più rivolta a “procurarsi informazioni riservate” che a “garantire la sicurezza di tutti e la custodia dei criminali”.

Molti dei nuovi cables raccolgono i profili creati dagli analisti statunitensi per ogni prigioniero. Il loro livello di pericolosità per il Paese, in caso di rilascio, veniva classificato in ‘alto’, ‘medio’ o ‘basso’. La decisione veniva presa in base agli interrogatori resi dai sospetti. “Fondamenti inconsistenti – secondo The Guardian – o sulla base di oscure confessioni estorte con maltrattamenti”. Waterborarding – una sorta di ‘annegamento controllato’ -, posizioni forzate o privazione del sonno e del cibo: torture già note, raccontate dai testimoni e ammesse a mezza voce dalle stesse forze armare Usa. Quello che non si sapeva, però, è che le dichiarazioni rese in questo modo venissero considerate più che valide per trattenere i prigionieri per anni.

Come alcuni cittadini britannici, detenuti nonostante le forze armate statunitensi fossero a conoscenza di un loro non coinvolgimento in gruppi terroristici. Potevano però sapere qualcosa di utile. Così come un mullah afghano che, per la sua posizione, “potrebbe avere conoscenze privilegiate dei Talebani”. Conoscenze che il leader religioso di Kandahar non aveva, ma l’uomo è stato rilasciato un anno dopo la decisione degli analisti della sua scarsa utilità. Il suo caso è uno tra quelli dei 150 prigionieri considerati innocenti ma comunque detenuti. Come il contadino afghano Mohammed Sadiq, 89 anni all’epoca e malato di demenza senile. Sadiq era stato destinato a Guantanamo per alcuni “numeri di telefono sospetti” ritrovati nel suo appartamento e appartenenti al figlio. A Cuba è stato interrogato per sei settimane e ritenuto “non affiliato ad al Qaida e privo di valore di intelligence per gli Stati Uniti”. Eppure il suo rilascio è avvenuto solo quattro mesi dopo. Tra le storie diffuse da Wikileaks c’è poi quella di un ragazzino di 14 anni, rapito dai Talebani e costretto ad arruolarsi nell’organizzazione terroristica. La sua frequentazione, seppur forzata, con i miliziani era abbastanza per imprigionare il ragazzo, detenuto per i “suoi possibili contatti con i leader locali dei talebani”, riferisce il quotidiano americano.

Una parte dei 759 documenti diffusi da Wikileaks riguarda anche le informazioni dell’intelligence statunitense sui rifugi dei leader di al Qaeda, Osama Bin Laden e il suo vice egiziano Ayman al Zawahiri. Secondo i cables diffusi da Julian Assange, quattro giorni dopo il crollo delle Torri Gemelle, Bin Laden si trovava a Kandahar, impegnato a incitare i combattenti a battersi “in nome di Allah” e a “difendere l’Afghanistan dagli invasori stranieri”. I due capi della formazione terroristica si sarebbero spostati per mesi in macchina all’interno del Paese. Per paura di essere catturato dai militari statunitensi, Bin Laden avrebbe affidato il comando delle operazioni al Consiglio della Shura. Fino al dicembre del 2011, i due leader si sarebbero rifugiati in un bunker segreto a Tora Bora, sulle montagne dell’Afghanistan occidentale. Segreto per le forze armate Usa, ma non per i loro uomini, che avrebbero incontrato regolarmente e con cui decidevano la strategia militare. Nel corso di una di queste riunioni, Bin Laden decise di ritirare tutti i combattenti dai campi di addestramento e spostare le donne e i bambini – comprese alcune delle sue mogli – in Pakistan, da sempre accusato di proteggere terroristi al qaedisti.

Nei momenti più duri degli scontri, nell’inverno del 2001, Bin Laden sarebbe scappato da Tora Bora verso il Pakistan, facendosi prestare sette mila dollari dai suoi protettori, somma poi restituita. Da quel momento le informazioni dell’intelligence Usa si fanno più rade. Neanche l’arresto da parte della Cia di alcuni suoi fedelissimi riescono a fornire dettagli sui suoi nuovi possibili rifugi.

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