La sera del 21 aprile scorso, con un decreto del ministero dell’Interno, la caserma “Ezio Andolfato” di S. Maria Capua Vetere, dove sono attualmente “trattenuti” più di duecento immigrati tunisini, è stata trasformata in Cie (Centro di identificazione ed espulsione). Cioè è stata trasformata in un luogo in cui possono essere “trattenuti” gli stranieri per cui si dispone l’espulsione con accompagnamento coatto alla frontiera, con lo scopo di assicurarne l’effettività.
L’istituto del trattenimento, fin dalla sua iniziale configurazione, ha presentato numerosi profili di incostituzionalità. I dubbi di legittimità costituzionale hanno investito, e tuttora investono, in primo luogo, il fondamento stesso dell’istituto che, in considerazione anche delle sue modalità di esecuzione, si configura come una vera e propria detenzione amministrativa, limitativa della libertà personale. La fondatezza di questo assunto si evince, del resto, dalla premura del legislatore nel prevedere l’intervento dell’autorità giudiziaria nei tempi e nei modi previsti dall’articolo 13 della Costituzione In altre parole, il legislatore – nel tentativo di evitare un giudizio di incostituzionalità – ha previsto l’intervento dell’autorità giudiziaria (ora il Giudice di Pace), che deve convalidare, entro 48 ore, il provvedimento di trattenimento adottato dal questore (che ha come presupposto logico e giuridico il provvedimento di espulsione emessa dal prefetto). Se tale convalida non avviene nei modi e nei limiti temporali previsti dalla Costituzione e dal Testo unico sull’immigrazione (D. Lgs. n. 286/1998), il provvedimento questorile di trattenimento perde ogni efficacia e lo straniero deve essere immediatamente rimesso in libertà. Anche perché, in caso contrario, si configurerebbe, inevitabilmente, il reato di sequestro di persona, previsto e punito dall’articolo 605 del Codice penale («Chiunque priva taluno della libertà personale è punito con la reclusione da sei mesi a otto anni. La pena è della reclusione da uno a dieci anni, se il fatto è commesso […] da un pubblico ufficiale con abuso di poteri inerenti alle sue funzioni»).
Ebbene, alla luce di questi basilari – quanto elementari – principi giuridici, occorre interpretare e comprendere ciò che è accaduto in questi giorni nel Cie “Ezio Adolfato” di S. Maria Capua Vetere. Gli immigrati sono giunti nella caserma “Adolfato” il 18 aprile scorso, dopo una permanenza di circa 6 giorni tra Lampedusa e la nave che li ha trasportati fino a Napoli. Il 21 aprile la caserma veniva trasformata in Cie per decreto e agli stranieri ivi trattenuti veniva notificato sia un provvedimento di espulsione che uno di trattenimento. Le udienze di convalida hanno avuto luogo il 23 aprile, cioè entro 48 ore dall’adozione del provvedimento di trattenimento. Tutto a posto, allora? No. Niente affatto. Ci sono ben tre giorni – a considerare soltanto i giorni trascorsi a S. Maria Capua Vetere ed escludendo tutto il periodo pregresso – di “reclusione” effettiva che non sono, in alcun modo, giustificati. In quei tre giorni, come minimo, gli stranieri sarebbero stati detenuti illegittimamente da pubblici ufficiali.
Ma i gestori del nuovo Cie (la Croce Rossa) hanno fatto sapere che gli immigrati hanno firmato, quando sono entrati nella caserma, un foglio con cui “accettavano” quella “sistemazione”. Cioè, per intenderci, gli immigrati avrebbero firmato un foglio con il quale avrebbero accettato di essere reclusi? Può qualcuno, in Italia, rimettere la disponibilità della propria libertà ad altri? No, almeno per ora, l’ordinamento vigente considera la libertà personale un bene indisponibile e, di conseguenza, a nulla può valere quel foglio firmato. E allora, come si giustifica la limitazione arbitraria della liberta di più di duecento persone per diversi giorni? La giustificazione istituzionale è stata la seguente: «Gli immigrati erano liberi di muoversi». Quindi, tutte quelle persone che sono saltate più volte da un muro alto cinque metri, che si sono fratturate gambe e braccia, che si sono scontrate con la polizia (come diversi di loro hanno raccontato ai difensori), che si arrampicavano sui pali, col rischio di cadere e farsi male, per salutare i manifestanti antirazzisti campani fuori dal centro (essendo impedito l’ingresso perfino ai parlamentari!), avrebbero fatto tutto questo semplicemente perché… non volevano uscire dalla porta!? E tutto ciò mentre le forze dell’ordine, che presidiavano armati giorno e notte l’ingresso e che perlustravano a cavallo il perimetro della caserma, li invogliavano a fare una passeggiata in natura, in libertà. Ah, questi africani, sempre così incivili!
Nella foto, un immigrato si affaccia dal Cie “Ezio Andolfato” di S. Maria Capua Vetere.
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