Il titolo è stato sospeso in attesa di un comunicato. L'azienda francese rassicura i lavoratori: "Investimenti nella sede di Collecchio e in Italia"
Lactalis non si arrende e, “anche a seguito del mutato quadro normativo successivo all’acquisto della propria partecipazione deel 28,969% in Parmalat e con l’obiettivo di realizzare un rilevante progetto industriale”, annuncia di aver “deciso di promuovere un’offerta pubblica di acquisto volontaria sulla totalità delle azioni dell’azienda di Collecchio al prezzo di euro 2,60 per azione”. Le azioni oggetto dell’offerta sono complessivamente 1.298.186.659 per un controvalore massimo dell’operazione pari a 3,375 miliardi di euro. Il prezzo offerto, spiega una nota del gruppo francese, “incorpora un premio del 21,3% circa rispetto al prezzo di Borsa delle azioni Parmalat degli ultimi 12 mesi e, inoltre, del 33,6% rispetto all’enterprise value per azione (calcolato come capitalizzazione di borsa al netto della posizione finanziaria netta e delle interessenze di minoranza per azione) degli ultimi 12 mesi”.
Il Gruppo Lactalis sottolinea la propria volontà di sviluppare il piano “nel rispetto dell’italianità” del colosso del latte di Collecchio, mantenendo la sede in Italia, salvaguardando gli asset produttivi, i dipendenti e la filiera italiana del latte, nell’interesse dell’economia del territorio.
L’offerta pubblica d’acquisto lanciata dai francesi di Lactalis su Parmalat rappresenta “il limite di un governo che ha negato in tutto questo periodo l’esistenza di una politica industriale e che ha pensato che sul piano della finanza si risolvessero i problemi”. A sostenerlo è il segretario generale nazionale della Cgil, Susanna Camusso, a margine di un incontro a Bologna sul prossimo sciopero generale del 6 maggio.
“Dopodichè – ha proseguito – è indubbio che questa scelta”, ossia l’opa lanciata dai transalpini a 2,6 euro ad azione, “che rischia di essere l’unica possibile, data la situazione e data la debolezza e l’inesistenza delle cordate italiane, rischia di dare un’ennesima dimostrazione che la grande industria alimentare è sempre meno italiana”.