Quindici roghi dal 2003 con l'escalation dall'ottobre scorso. Sui casi indaga la Dda di Milano. Dopo le denunce di Giulio Cavalli, adesso gli investigatori seguono le tracce dei clan gelesi rappresentati dalla potente cosca Rinzivillo
A Lonate Pozzolo, nel varesotto, tipico centro della provincia lombarda ci sono voluti circa nove anni per capire che una serie di fatti criminosi, tra cui anche degli incendi a esercizi commerciali e a cantieri edili, erano da ricollegare all’attività di una potentissima cosca della ‘ndrangheta.
Oggi la storia si ripete nel Lodigiano, altra fetta operosa della Lombardia. Qui si conta un inquietante stillicidio di incendi dolosi, in impianti per il trattamento dei rifiuti e in siti per lo stoccaggio della spazzatura raccolta sul territorio. Ce ne sono stati 15 a partire dal 2003. Ma la vera escalation prende il via dall’ottobre scorso: da allora i vigili del fuoco intervengono in 8 impianti lodigiani. In sei di questi c’è natura dolosa, per cui dal gennaio scorso ad indagare è l’antimafia di Milano.
L’ultimo episodio è accaduto un paio di settimane fa, quando un’altra azienda della provincia di Lodi – la Lodigiana Maceri di Marudo – che si occupa di raccolta della carta, è stata teatro di un rogo spettacolare, con colonne di fumo che si sono alzate nel cielo ben visibili a decine di chilometri di distanza. Nessun dubbio che anche in questo caso ci sia dolo. I vigili del fuoco parlano di almeno tre focolai quali punti di inizio dell’incendio, col primo che si trovava non distante dall’ingresso principale. Un manager dell’azienda ha seguito le operazioni di spegnimento sin dai primi istanti. “Sono stati i carabinieri ad avvertirci che siamo l’ottava azienda che va a fuoco in pochi mesi, ma non ne sapevamo nulla” dice, dietro una mascherina usata per proteggersi da un fumo acre e tossico. “Non abbiamo avuto alcuna richiesta. Proprio da nessuno”, aggiunge.
Il titolare delle indagini è Nicola Piacente, procuratore della distrettuale antimafia titolare delle indagini. A condurle ci sono gli uomini della Direzione investigativa antimafia di Milano. Tutti restano scrupolosamente abbottonati, ma è da quattro mesi che lavorano a testa bassa. Secondo gli inquirenti, se le indagini stanno procedendo a rilento è, in qualche modo, colpa dell’omertà incontrata.
Troppa omertà, quindi, intralcia gli inquirenti. Una malattia che non ha certo l’attore Giulio Cavalli, lodigiano d’adozione e consigliere regionale dell’Idv, che tempo fa segnalò un particolare riguardante proprio l’azienda lodigiana andata a fuoco per ultima. Per questa società, sino a poche settimane prima, aveva lavorato una cooperativa di trasporto la cui intestataria era la moglie di un certo Giovanni Costa, 35 anni, originario di Gela ma residente nel Lodigiano. A parte il suo arresto nel maggio del 2010 nell’ambito di un’inchiesta della Dda di Napoli, che smantellò un’alleanza tra camorra e il clan di Cosa nostra dei Rinzivillo, Costa fu poi inserito in un programma di protezione testimoni, assieme alla moglie e a un figlio. Avendo suo malgrado lavorato nel settore dei trasporti tra Caserta, la Sicilia e il nord Italia, porta con sé un sacco di informazioni utili per chi s’è messo ad indagare oggi: ecco perché deve essere tutelato. Nel frattempo si è aperta una pista investigativa nel caldo autunno d’incendi Lodigiano. Piacente, del resto, ha condotto l’ultima operazione contro l’organizzazione mafiosa dei Rinzivillo al nord, arrivando il mese scorso ad arrestare cinque affiliati a Busto Arsizio, in provincia di Varese.