Bologna. A poche ore di distanza l’uno dall’altro sono avvenuti due fatti importanti, carichi di significato, apparentemente non collegati.
24 Aprile, Messa pasquale nella Cattedrale di San Pietro. L’arcivescovo Caffarra conclude la sua omelia così: “Cari amici, mentre dico questo non posso non pensare alla condizione spirituale in cui versa la nostra città: una città che sembra ormai priva di speranza; che sembra accontentarsi del “come è sempre andata”; una città rassegnata perché sembra non credere più alla possibilità di un profondo cambiamento.
O amata città di Bologna: anche per te oggi è scaturita la sorgente della speranza; anche in te e per te Cristo è risorto, e dunque anche a te oggi è aperta la possibilità di un nuovo futuro, di edificarti in una vita nuova.”
25 Aprile, ore 10:30, Piazza del Nettuno. Commemorazione ufficiale della liberazione dal nazifascismo 66 anni fa. Suona l’inno nazionale. Tutti cantano, tranne uno. È il candidato della Lega Nord a Sindaco di Bologna Manes Bernardini.
Andiamo con ordine. Le parole dell’Arcivescovo sono le parole di chi osserva e ascolta quotidianamente le voci delle persone che vivono la città in cui fa il vescovo. Tutti i commentatori si sono soffermati sulla parte negativa in cui il prelato descrive lo stato di sfiducia della città nei confronti della città, ma nessuno si accorge che alla fine sferza, affermando che la possibilità c’è. Che c’è la possibilità di un cambiamento.
Ora, non stiamo parlando di un invito al voto specifico per nessuno, conosco il Cardinale, non lo farebbe mai ed è giusto così. Caffarra sta richiamando il popolo cattolico e la città alla partecipazione attenta e non occasionale. Sta dicendo che c’è una città da riedificare e che bisogna farlo assieme, partendo dalla certezza che si può fare. Altri commenti alle sue parole sono pretestuosi e piegano quell’omelia verso un significato che non può avere.
Il giorno successivo vado in piazza (come si dice a Bologna) per le celebrazioni del 25 Aprile. Con le autorità sono schierati i candidati sindaco, ma tra loro, uno sembra lì per caso, per un qualche pro forma elettorale. È il candidato leghista. Sembra assente. Parte l’inno nazionale. Non canta. Magari è giù di voce. Ma non è così, visto che la voce per innescare delle sterili polemiche alla fine l’ha avuta.
Questo vizietto di non cantare l’inno nazionale non è sporadico per Bernardini. Già il 17 Marzo, come consigliere regionale, alle celebrazioni ufficiali del 150° anniversario dell’unità d’Italia, con tutti gli altri leghisti diserta l’aula nel momento dell’inno nazionale. La cosa allora è endemica, non è una scelta casuale.
È possibile che ci sia qualcuno che pensa di riedificare la città, partendo dalla sua coscienza, non prevedendo come base comune il fatto che Bologna è una città italiana, che riconosce in quell’inno la sua unità di paese e di popolo? È possibile voler riedificare la comunità bolognese su fondamenta nuove che non riconoscono nella bandiera e nell’inno il simbolo massimo dell’unità? Si può contemplare l’ipotesi di un sindaco che forse non indosserebbe mai la fascia tricolore? Potrebbe Bologna annoverare tra i suoi sindaci qualcuno che con il suo mutismo cancella la sua storia migliore?
Ricordiamoci che sul gonfalone della città sono appese tre medaglie d’oro. La prima venne conferita da Umberto II per gli sforzi dei bolognesi nelle lotte risorgimentali per l’Unità d’Italia. La seconda per le lotte contro il nazismo e il fascismo. La terza venne data dal Presidente Pertini all’indomani della strage alla stazione del 2 Agosto 1980 per sottolineare come la città affrontò unita quell’evento maledetto nel soccorrere i feriti, nel dare una degna commemorazione ai defunti e nel ricostruire quello che era stato distrutto.
Quelle tre medaglie, sono come le stelle polari per la nostra comunità bolognese. Comunità italiana, che lotta contro ogni dittatura e ogni terrorismo. Non cantare l’inno nazionale è come togliere un mattone alla nostra casa comune, alla comunità nella quale viviamo quotidianamente. Chi si candida a sindaco deve essere chiaro su questo punto e non può balbettare. La polemica scatenata dopo le celebrazioni per un discorso più politico che istituzionale è pretestuoso. Ricordare il 25 Aprile è ricordare lo sforzo di tanti uomini e donne che hanno contribuito alla liberazione dell’Italia dalla dittatura. Lo spirito che animava quei gesti è lo stesso che venne trasferito nella carta costituzionale che ci rende oggi concittadini. Dire, come ha affermato la Vice Presidente della Regione nella sua prolusione, che le istituzioni sono anche poste a guardia contro chiunque voglia modificare quello spirito è altamente politico ma anche altamente istituzionale. Non capirlo o strumentalizzarlo non è degno per un candidato sindaco, che oltretutto ha studiato legge.
Riedificare, dice Caffarra. Con i mattoni giusti, aggiungo io. Possiamo e dobbiamo imparare dagli errori commessi negli anni, ma quelle tre medaglie, il loro spirito, non sono a disposizione di nessuno e chiunque voglia ricostruire Bologna deve partire da lì. Non farlo sarebbe distruttivo e questo, per Bologna, non lo vuole nessuno.