Un’azienda messa “fuori gioco” da un cimitero. Succede alle officine meccaniche Sert di Leinì, vicino a Torino. «Abbiamo lavoro per milioni di euro ma non prendiamo lo stipendio da quattro mesi solo per permettere a qualche imprenditore senza scrupoli di guadagnare sulla pelle di 60 famiglie». Ma la protesta, per una volta, non è contro il “padrone”. Anzi: il proprietario della Sert, i dipendenti e i sindacati sono tutti uniti in un sit in davanti alla Regione Piemonte. «Questa manifestazione – spiega Marco Secci, sindacalista, funzionario provinciale della Uilm di Torino – è una delle ultime cartucce che abbiamo per aiutare questa azienda. In 20 anni di esperienza di sindacato è la prima volta che mi capita di lavorare fianco a fianco con i lavoratori e con l’imprenditore, contro le istituzioni. La Sert è un’azienda florida, fornitore privilegiato della Fiat, non ha concorrenti, fa il 22% di margine di utile, sarebbe in procinto di fare assunzioni». Rincara la dose Riccardo Rastrelli, il titolare: «La Sert è sana, tutti i dipendenti sono assunti a tempo indeterminato, nessun contratto atipico. Gli stipendi sono superiori alla media del settore metalmeccanico. Abbiamo commesse e ne possiamo prendere altre»
E allora qual è il problema? La storia della Sert si può semplificare così: nonostante tutto, l’azienda è a rischio chiusura. Per colpa di un cimitero. Andiamo con ordine: la Sert ha sede a Mappano, una frazione del torinese il cui territorio è diviso fra i comuni di Caselle Torinese, Borgaro Torinese, Settimo Torinese e Leinì. Per la precisione, sorge nella parte di Mappano amministrata dal Comune di Leinì. Gli stabilimenti si trovano lì fin dal 1969. Ma due anni fa, il Comune di Caselle ha fatto costruire, nella “sua” parte di Mappano, un cimitero. A 80 metri dalla sede della Sert. Il cimitero porta con sé alcuni vincoli per legge. In particolare, vincoli di inedificabilità assoluta e di zonizzazione acustica. In sostanza, i rumori emessi dalle lavorazioni della Sert, per loro natura, sono incompatibili con il cimitero. E nel terreno della ditta non si può più edificare né fare modifiche all’esistente. “Un’assurdità”, secondo Rastrelli, che precisa: «Il vincolo di inedificabilità assoluta, congiunto alla zonizzazione acustica, non solo non era mai stato notificato, ma è stato dichiarato dal giudice civile illecito, in quanto posto da un Comune diverso da quello su cui si trova l’azienda. I danni maggiori però li abbiamo subiti dalla revoca di due finanziamenti già deliberati per 2,5 milioni di euro in quanto, a causa dei vincoli introdotti, il valore dell’area è passato da oltre 10 milioni di euro (45.000 m2 di superficie di cui 20.000 m2 coperti) ad un valore prossimo allo zero.»
Insomma, quando arriva il cimitero l’azienda precipita nel baratro. Ma l’ingegner Rastrelli non si perde d’animo: “Siamo riusciti a dimostrare che il cimitero è stato costruito ignorando apertamente le preventive autorizzazioni della Regione, che sono indispensabili per legge; il tentativo successivo del Comune di Caselle di giustificarne la costruzione a mezzo di una semplice delibera del Consiglio comunale è stato dichiarato illegittimo dal Tribunale civile di Ciriè. Nonostante questo, il Comune sta proseguendo lo stesso i lavori. A luglio 2010 la Regione stessa ha riconosciuto la non correttezza dell’operato del Comune e ci ha prospettato un percorso per farci arrivare un finanziamento-ponte e continuare l’attività”. Così, Rastrelli si è impegnato ad aumentare il capitale sociale di 1 milione e 400 mila euro, a reinvestire gli utili guadagnati per acquistare nuovi macchinari e soprattutto a non delocalizzare la produzione per almeno sette anni, mostrando chiaramente l’intenzione di salvare la ditta e i suoi dipendenti. Ma ancora oggi, nonostante le rassicurazioni della Regione e gli impegni presi con Finpiemonte, i fondi risultano ancora bloccati dalle banche. E così la Sert non può più pagare i dipendenti né onorare i debiti con i fornitori.
Così i lavoratori sfilano di fronte al palazzo della Regione con cartelli drammaticamente ironici: “Siamo ancora vivi” e “Speriamo nella reincarnazione”, si chiedono “Le istituzioni, dove sono?”, portano in corteo, una finta bara, l’appoggiano all’ingresso e suonano i tamburi che hanno con loro, finché una delegazione non viene ricevuta da funzionari regionali. Per ora, però, arriva un altro nulla di fatto. Resta la finta bara all’ingresso della Regione, come un simbolo: il cimitero di Caselle e l’assenza delle istituzioni rischiano di uccidere definitivamente le speranze dei lavoratori e quelle della loro azienda.