Il segretario della Cgil: "Se i rapporti tra noi e la Cisl e Uil non sono cambiati con gli accordi separati, non credo possa farlo una manifestazione". Intanto il Primo maggio, per la prima volta nella storia, a Bologna ogni sigla farà la sua manifestazione
Dal lavoro, alla Costituzione, passando per i diritti dei giovani e la riforma del fisco, senza omettere le polemiche sorte intorno al Primo Maggio bolognese. Così Susanna Camusso, segretario generale nazionale della Cgil, in occasione dell’assemblea generale dei quadri e dei delegati della Cgil Emilia Romagna a Bologna, al teatro Arena del Sole. Un primo maggio separato a Bologna, una frattura che, a dispetto dei tentativi perpetrati, non si è potuta rimarginare. Una sconfitta? La Camusso tenta di “minimizzare” e sposta l’attenzione su sconfitte di altra natura.
“Considero – dice – una sconfitta per il sindacato che non ci siano regole in Italia per la contrattazione, considero una sconfitta il fatto che non si possa votare gli accordi. È chiaro, tuttavia, che come sempre, dopo ogni divisione, bisogna lavorare per l’unità”. Il pericolo, difatti, è stato che si innescasse un meccanismo di emulazione anche in altre città d’Italia. Un gruppo, pur se esiguo, del direttivo provinciale della Cgil di Modena, infatti, ci aveva provato, ma il segretario provinciale Donato Pivanti ha prontamente rispedito il messaggio al mittente.
“Bisogna smettere – prosegue invitando a placare le esagerazioni la Camusso – di pensare che ogni avvenimento sia destinato a segnare tutto il resto. Se i rapporti tra noi e la Cisl e Uil non sono cambiati con gli accordi separati, non credo possa farlo una manifestazione”.
Chiarito ogni dubbio sulla necessità di una festa dei lavoratori unitaria, la Camusso sul palco dell’Arena del Sole espone le ragioni dello sciopero generale che li vedrà impegnati tra poco più di una settimana, il 6 maggio.
“A chi ci dice – afferma – che il nostro è uno sciopero politico, tentando di macchiarlo, noi rispondiamo che lo è, perché la politica per noi è lo strumento di cambiamento e di miglioramento delle condizioni dei cittadini”.
Ed è così che il segretario indica la vita da seguire. “La precarietà – incalza la Camusso – è sintomo che il lavoro non è più punto fondamentale. È giunto il momento di restituire ai ragazzi il diritto di avere l’età adulta. Per questo è necessario ragionare su istruzione e lavoro. Negare l’istruzione è negare la democrazia. Hanno distrutto gli istituti tecnici che era la vera forza del lavoro qualificato, per guardare alla finanza. Lavoro e istruzione vanno insieme, come insieme vanno contrattazione e democrazia, condizione fondamentale per far valere i diritti di chi, all’interno dei luoghi di lavoro, è più debole, perché non viga la legge del più forte, legge tanto amata dal ministro del lavoro, autore del collegato lavoro”.
Lo sciopero del 6 maggio, dunque, abbraccerà diversi temi, ma il perno fondante per affermare democrazia ed equità, sarà la rivendicazione della riapertura di quel cantiere che il ministro dell’economia, Giulio Tremonti, ha assicurato a più riprese: la riforma del fisco, necessaria per ridurre quella disuguaglianza che la crisi alimenta.
“Questo governo – incalza la Camusso – nel peggior periodo di crisi, è diretto da un uomo che ogni giorno fa ostentazione della sua ricchezza e di ciò che lui può fare e gli altri non possono fare, e chi ostenta la sua ricchezza non può condurre un paese verso la riduzione della disuguaglianza e verso la giustizia”.
È l’attacco che la Camusso rivolge al premier Silvio Berlusconi, nei confronti del quale aggiunge, quando gli si chiede un commento circa l’ipotesi di una scelta di Berlusconi per la presidenza della Repubblica, “già rabbrividisco a sentire che è presidente del Consiglio”.
“Esiste una distribuzione di ricchezza ingiusta – prosegue la Camusso ritornando alla riforma del fisco – causata dalla finanza e all’accumulazione di patrimoni e anche dalla scelta delle imprese di smettere di investire nel manifatturiero, per investire in finanza, pensando a guadagni più facili. Il 10% delle famiglie in Italia detiene il 47% della ricchezza”.
Il riferimento non è esplicito, ma il “rimprovero” sembra essere diretto anche alla casa automobilistica Fiat, amministrata dall’italo-canadese Sergio Marchionne, che ancora oggi fa discutere relativamente allo stabilimento ex Bertone di Grugliasco (a Torino) dove si vorrebbe produrre il nuovo Maseratino, al quale chiede il sacrificio della flessibilità, in cambio di un investimento che altrimenti sarà diretto altrove, forse anche fuori dall’Italia
Quell’accordo sabaudo, per cui la Camusso si augura continui “il confronto – ha detto – e si volti pagina, perché quella scritta fino ad ora non è utile”, che mette in apprensione anche i 700 lavoratori della Maserati di Modena, che attendono da un anno un piano industriale che definisca modelli e investimenti futuri.
“Bisogna scoprire – dice infatti la Camusso a margine dell’assemblea – quali sono le reali intenzioni della Fiat, in bilico tra essere un’azienda sempre più americana piuttosto che globale”. È la preoccupazione di fronte alla decisione di Standard & Poor’s di lasciare invariati i rating e l’outlook sul Lingotto dopo l’annuncio dell’acquisto di un ulteriore 16% di Chrysler. “Bisogna capire – prosegue la Camusso – quali sono le intenzioni tra azienda americana e globale, che è il prezzo oscuro delle affermazioni che vengono fatte. Anche le accelerazioni in Chrysler che solo pochi giorni fa erano state negate in qualche modo fanno pensare che si accentui sempre di più il versante americano e poco il versante globale. Servirebbe un Governo autorevole, politiche generali del paese e non degli incentivi”.
Ricollegandosi al tema della giornata e difendendo il valore della Costituzione, che è “più giovane del Presidente del Consiglio – ha detto – è corpo della tenuta democratica e non va cambiata”, la Camusso non si esime dall’evidenziare, in chiusura, la necessità di un piano energetico, “non mettere i fogli nel cassetto – afferma caustica – per non fare il referendum. Il primo errore è già stato fatto, non rifinanziando le energie rinnovabili. Ci vuole una politica, però, anche sulle energie tradizionali. La crisi non si risolve con le esportazioni, ma con la ripartenza dei consumi interni che alimenti la crescita. Se il paese non cresce le manovre continueranno ad essere depressive, non incentivando l’economia a riprendere, impoverendo ulteriormente lavoro e pensioni. Per questo saremo in piazza, per cambiare e per difendere i valori della democrazia, della libertà e della Costituzione”.